domenica 20 dicembre 2015

Imbattibili nel bombardare, uccidere civili e rovinare economie



Di John Kleeves


   Le epidemie venivano provocate vendendo agli indiani coperte infette (il vaiolo era endemico fra i Puritani, facendo però poche vittime: gli indiani invece non avevano anticorpi). Dal 1865 al 1875 furono malignamente sterminati i bisonti, sui quali solo vivevano le tribù delle pianure centrali: gli animali erano sugli 80 milioni nel 1850 e ne furono contati 541 nel 1889. Appena inventato l'aereo gli americani capirono che era la loro arma: distruzione da lontano, dall'alto, senza dover combattere sul serio, sino a che l'avversario non dichiarava la resa senza condizioni.

   Preparaticisi sin dagli anni Venti misero in pratica tale prassi nella Seconda Guerra Mondiale: fu la Guerra Totale propriamente detta. Sotto questa dizione si nascondevano  due strategie distinte, benché condotte circa con gli stessi mezzi - i bombardieri - e sinergiche tra loro: io le ho chiamate la strategia della Guerra alle popolazioni Civili e la strategia della Guerra per il Dopoguerra.

   La prima era il solito ricatto portato ai governi avversi, ricatto che nella Seconda Guerra portò a tre milioni di civili morti, due in Europa e uno in Giappone. La seconda davvero originale - consisteva in questo: distruggere il tessuto economico dell'avversario allo scopo non di minarne la capacità di condurre la guerra (cosa impossibile coi bombardamenti convenzionali!) ma allo scopo - a guerra finita - che non fosse più per molto tempo un concorrente commerciale sui mercati internazionali.
   Per inciso tale strategia fu usata quando possibile anche nei confronti di... Paesi alleati, ad esempio Francia, Olanda e Belgio, mentre fa bene al cuore osservare che gli USA non fecero mai nulla di concreto per contrastare i bombardamenti tedeschi sulle industrie inglesi.
   Naturalmente le bombe nucleari furono viste dagli americani come il loro ordigno d'elezione e appena pronte ne gettarono due su altrettante città giapponesi.

   La gente dice: bisognava vincere una guerra giusta e poco importano i mezzi usati: può servire magari con i popoli da niente, come gli italiani, ma non con gente tipo i tedeschi e i giapponesi. Il concetto si evidenziò bene nelle due successive guerre americane, in Corea e in Vietnam. Nonostante le stragi di civili dall'aria, che fecero rispettivamente 4 e 6 milioni di morti, gli USA rimediarono un "pari" in Corea e addirittura una sconfitta gigantesca in Vietnam. In Vietnam gli americani avevano 50 divisioni sul terreno, appoggiate da 800.000 soldati sud vietnamiti; furono battuti da 10 divisioni nord vietnamite di cui solo 2 corazzate, coadiuvate da circa 110.000 fra Viet Cong e guerriglieri sciolti (la versione non concorda con quella di Hollywood che presenta solo una guerriglia nella giungla con schioppi e cerbottane, ma ho già detto che Hollywood è propaganda di Stato).
   Anche con l'Iraq nel 1991, nonostante l'enorme dispiegamento di uomini e mezzi, gli americani non vinsero, perché non riuscirono a prendere via terra Bassora: riuscirono solo a fare 300.000 morti fra i civili e a far regredire di decenni l'economia del Paese (per inciso, avete tenuto il conto dei civili assassinati dagli USA in guerra?). Gli americani dunque non sono in grado di fare la guerra. Possono solo eseguire danni da lontano, con bombardieri e missili, uccidendo civili e rovinando economie; se questo basta ci può essere una vittoria, altrimenti rimangono i danni fatti, per i quali l'America vista la geografia non teme di pagarne il giusto fio. L'assenza di virtù militari è poi compensata dalla rabbia, dalla rivalsa sugli inermi. Così ad esempio una prassi consolidata americana è di uccidere gli arresi e di eseguire vendette. Ci sono moltissimi esempi e ricordo solo la meccanica delle vicende di Guadalcanal, di Okinawa e di Iwo Jima: niente prigionieri e stragi nei civili dopo la vittoria. Il film La sottile linea rossa non la dice certo tutta su Guadalcanal. A Okinawa migliaia di civili che si erano nascosti nelle tante grotte costiere dell'isola furono spinte negli strapiombi sul mare coi lanciafiamme (la didascalia del filmato originale della tragedia - ancora proiettato qua e là, anche in Italia - dice che si trattava di suicidi volontari!). Recentissimi i casi di Panama del 1989, quando i Marines bombardarono il quartiere popolare di El Corrillo a Panama City facendo 2.000 morti solo perché simpatizzava per Noriega, e del Golfo 1991, quando colonne di soldati iracheni disarmati e in fuga nel deserto furono incenerite col Napalm dai bombardieri.

   Morale della favola, a tale gente si sono accodati i governi europei nelle loro aggressioni.
   Cosa vogliono fare, emularli? Aiutarli nelle stragi, nelle infamie? Neanche se fosse una guerra giusta si potrebbe! Inoltre, più in generale, gli Stati Uniti si configurano come una potenza che vuole impadronirsi del mondo allo scopo di sfruttarlo, di succhiargli il sangue anche in senso non figurato (si pensi alle immonde necessità chirurgiche delle cliniche a pagamento americane!) e determinata ad esercitare la sua oppressione col terrore, tramite i suoi bombardieri e i suoi missili in grado di colpire ovunque al minimo accenno di resistenza, E i governi europei vogliono partecipare a questo?
   Eppure poche sono le voci contrarie, l'indignazione non scuote l'opinione pubblica europea. E' davvero un secolo buio per l'Europa. 

domenica 6 dicembre 2015

Capitalisti con la pistola

di John Kleeves


Americani: Chi sono costoro?
   Definire il tipo psicologico medio dell'Americano non è così immediato. Cosa sono essenzialmente gli Americani, e qual è di conseguenza il campo a loro più congeniale, nel quale realmente eccellono? Per molti grandi popoli della storia la risposta è spesso stata agevole: i Romani ad esempio erano senza dubbio dei soldati, i Greci erano degli artisti, i Fenici dei commercianti, gli Egiziani dei religiosi (dei preti o degli occultisti a seconda), i Cinesi dei filosofi, ed è facile vedere come ognuno abbia costruito la sua fortuna in base alla superiorità derivata da quel particolare talento, il quale andò a plasmare la sua civilizzazione.

   Gli Americani sono certamente un grande popolo (se non altro per essere arrivati, ora come ora, a un passo dal dominio planetario; poi si vedrà) ma per loro si stenta a trovare una definizione. Benché siano sempre in guerra essi però non sono dei soldati, mancandogli i tratti fondamentali caratteristici, cioè il militarismo, l'attrazione per le uniformi, la propensione alla disciplina e soprattutto il valore: mai hanno vinto una guerra per le virtù militari, semmai per la tecnologia e la preponderanza numerica e materiale. Per quanto riguarda essere degli artisti, dei filosofi e dei religiosi non se ne parla neanche: pochi popoli disprezzano tali valori spirituali come gli Americani; sembrerebbe non essere così per la religione, vista la sua pervasività nella vita e sui media americani ma chiunque è stato negli USA sa che è tutta apparenza, tutti riti messi in piedi per certi motivi utilitaristici. Anche la tipologia del commerciante non calza perfettamente all'Americano, che sembra qualcosa di più; e poi non spiega questa tipologia la numerosità delle guerre combattute: il commerciante puro ama la stabilità della pace.

L'ibrida e pericolosa figura del commerciante armato
   Il problema a inquadrare gli Americani deriva dal fatto che essi non sono riconoscibili a un tipo psicosociale puro, a uno di quegli archetipi a tutto tondo come sono il soldato, il prete eccetera, ma appartengono alla categoria dei tipi sociali ibridi, intermedi. Gli Americani si identificano esattamente, infatti, con la figura del commerciante armato.
   E' una figura intermedia ma molto classica, della quale forse ci eravamo dimenticati. Nell'antichità il commercio era quasi tutto armato: nel bacino del Mediterraneo un rispetto accettabile della legalità arriverà solo con l'Impero Romano e prima chi si dedicava al commercio doveva anche essere un uomo d'arme e provvedere, più o meno direttamente, alla protezione armata di ogni sua attività, dalla raccolta o acquisto delle merci, al trasporto, all'immagazzinaggio, e anche all'esposizione e alla vendita al dettaglio nelle piazze. Era problematico in particolare il trasporto via mare, per la presenza fitta e costante di pirati: Pompeo condurrà nel 67 a.C. una delle sue spedizioni militari più impegnative proprio contro i pirati, che disperderà raccogliendo un'armata di 120 mila fanti e 500 navi da guerra, catturando 800 navi corsare ed espugnando 120 piazzeforti, o "covi", sulle coste. La stessa pirateria non era sempre molto distinguibile dal commercio: tutti i mercantili, anche quelli riservati all'uso più innocuo, potendo e in assenza di testimoni abbordavano altre navi, mentre era raro che un equipaggio lasciasse un porto di carico senza aver rapito all'ultimo momento qualche giovane o bambino da vendere schiavo nel porto successivo.

   Il commercio armato fu addirittura la specialità della più pericolosa potenza dell'antichità, Cartagine, la città fondata come colonia dalla fenicia Tiro nel 814 a.C. e poi resasi indipendente e divenuta superpotenza. Mentre i Fenici erano commercianti puri, i Cartaginesi erano invece commercianti armati e divennero potenti conquistando materie prime e mercati con un'azione continua di penetrazioni commerciali appoggiate da campagne militari, che li portò al controllo assoluto di tutto il Mediterraneo occidentale e delle sue coste (ad eccezione di quelle francesi, dove c'erano i Greci di Marsiglia, e di quelle peninsulari italiane, dove c'erano prima gli Etruschi, i Romani e i Greci e poi i Romani). Fra le materie prime miravano particolarmente agli schiavi e all'argento, metallo da monete. Erano continuamente in guerra ma a dimostrazione del fatto che non erano soldati le combattevano con mercenari, che arruolavano a piacimento da ogni dove pagandoli con quelle monete d'argento che a loro non costavano quasi niente. Il punto di forza della repubblica cartaginese però, più che l'esercito mercenario, era la flotta, che aveva capitani cartaginesi, equipaggi misti e schiavi ai remi, e che era usata per aprire nuovi mercati, per proteggere i mercantili dei loro armatori privati, e per impedire l'ingresso nel Mediterraneo occidentale (la metà esatta del mondo, per quei tempi) a qualunque concorrente.

Grazie Roma
   Poi i commercianti armati di Cartagine furono sconfitti dai soldati puri di Roma. Nella Terza Guerra Punica sembra che i Romani, più che piegare una città che in effetti non era più un pericolo, volessero distruggere l'idea stessa da essa rappresentata, compiere quasi un'operazione di eugenetica sradicando per sempre dalla Storia e dal Pianeta il modo d'essere umano dei suoi abitanti: durante l'assalto finale avvenuto in un giorno dell'aprile del 146 a.C., forse il 20, furono trucidati in varie maniere -  passati a fil di spada o gettati vivi negli incendi - quasi tutti gli abitanti della città, calcolati fra i 250 e i 450 mila (si salvarono solo i 50 mila abitanti del quartiere della Birsa; arresisi prontamente, furono venduti come schiavi), e poi la città, che aveva una muraria lunga 40 chilometri, fu spianata mattone per mattone, coperta di terra e maledetta spargendoci il sale. Stessa sorte, lo stesso anno, i Romani la riservarono solo all'altra grande capitale del commercio mondiale, la grecca Corinto. Si sarebbe ricominciato a edificare sul suolo di Cartagine solo cento anni dopo, perché lo ordinò Cesare in persona.

   Con ciò per quasi due millenni di commercio armato non si sentì più parlare; sembrava svanito per sempre. Quando ecco che appunto comparvero gli Americani. Il primo ad accorgersi che questi "nuovi" venuti rappresentavano in realtà il ritorno di qualcosa di molto vecchio, quasi di preistorico, fu Kostantin Leon'ev (1831- 1891), che nel libro Bizantinismo e mondo slavo del 1875 (pubblicato in Italia solo nel 1987, per iniziativa delle Edizione all'insegna del Veltro) ne segnalava la sostanziale identità con gli antichi Cartaginesi. "Gli Stati Uniti sono la Cartagine dei tempi moderni. Una civiltà già vecchia, caldaica, affermatasi in forma repubblicana su suolo vergine. Gli Stati Uniti non possono, in generale, proporsi a nessuno come esempio..." (pag. 157). Una identità che deriva dal fatto che entrambi i popoli rappresentano lo stesso psico-tipo sociale del commerciante armato e quindi danno luogo a civilizzazioni che, nei fatti essenziali, sono molto simili.

Una Nazione sotto un segno
   Gli Stati Uniti così non sono una Nazione generica ma una Nazione che sta sotto un segno preciso, quello del commercio armato. Questo è il suo genio la fonte delle sue fortune. Il segreto del successo americano sta nel fatto di avere sempre assecondato sin dall'inizio tale inclinazione, con efficienza e coerenza, senza lasciarsi distrarre da niente.

   L'organizzazione politica fu scelta per poter praticare il commercio armato: una oligarchia a forma apparente repubblicana dove i maggiori imprenditori o i loro stipendiati, grazie a un processo elettorale che dipende dal danaro, occupano direttamente le più importanti cariche istituzionali e governative e fanno così fare all'intero Paese le mosse che convengono di più alla loro persona, comprese guerre per procacciarsi fonti di materie prime e materiali di vendita.
   Tutte le guerre americane hanno avuto il loro chiaro risvolto economico, tutte hanno incrementato il volume d'affari degli imprenditori dell'Unione. Compresa la Guerra di Indipendenza, combattuta perché la Madrepatria inglese aveva deciso di escludere le colonie americane dal Mercato dell'Oriente. Poi nel 1812 gli USA assalirono ancora la Gran Bretagna per strapparle i Grandi Laghi delle pellicce (fu la "Guerra delle Pellicce" nella mia definizione; le pellicce servivano come merce di scambio in Cina-Mercato dell'Oriente).

   Nel 1836 ci fu l'attacco al Messico, condotto con un intreccio di penetrazione commerciale e aggressione militare che è tipico, esemplare: allevatori americani guidati dall'imprenditore privato Sam Houston ottennero dal Messico il permesso di sistemarsi in Tejas, poi fecero in modo di provocare i messicani e di fare intervenire le Giacche Blu. Il Tejas poi si chiamò Texas. Questo sistema fu adoperato per tutto l'Ottocento con gli Indiani: avanzavano un po' degli imprenditori (i coloni ma anche società fondiarie, minerarie, zootecniche eccetera) che sembravano pacifici e per un po' stavano tranquilli ma poi provocavano gli Indiani richiamando l'Esercito; quindi il ciclo riprendeva, a piccoli, inesorabili e sanguinosi passi (gli Indiani saranno sterminati quasi tutti, per un numero di individui calcolato fra i 5 e i 10 milioni).

   Nel 1898 ci fu l'attacco alla Spagna per portarle via Cuba, Guam e le Filippine: Cuba serviva ala commercio per lo zucchero, Guam e le Filippine oltre alle risorse servivano come basi per aggredire il Mercato dell'Oriente, lo stesso motivo per cui sempre nel 1898 furono annesse le Hawaii dopo il colpo di mano del 1893 e per cui nel 1867 era stata comprata l'Alaska dalla Russia. Da notare l'escamotage usato per scatenare la guerra: per incolpare gli spagnoli il governo USA fece saltare una sua propria nave da guerra, l'incrociatore Maine con 260 uomini a bordo (tutti morti), ma ciò che davvero interessa è che l'operazione quasi certamente fu realizzata in concertazione con industriali americani dello zucchero.
   La "perla" del commercio armato dell'Ottocento fu comunque il modo in cui gli USA "aprirono" il Giappone al commercio internazionale, e cioè anche europeo e nella fattispecie inglese, ma essenzialmente americano: il Giappone voleva tenere fuori dalla porta gli invadenti commercianti occidentali, e con loro i preti sia protestanti che cattolici, ma un bel giorno del 1854 di fronte a Kanagawa, un sobborgo di Yokohama nella baia di Tokyo, si presentò una flotta da guerra americana comandata dal commodoro Perry, che pose l'ultimatum: o firmare un trattato commerciale, naturalmente alle condizioni dettate, o essere bombardati. Il Giappone cedette, ed è così che fu concluso il famoso Trattato di Kanagawa, riportato nei libri di testo delle scuole medie americane come un capolavoro della diplomazia patria.
   Il Novecento iniziò con invasioni fotocopia nell'America Centrale, azioni belliche che servivano per assicurare ad aziende statunitense la proprietà di immense piantagioni di frutta lavorate da manodopera locale a costo circa nullo.
   L’intervento nella Prima Guerra Mondiale in Europa fu deciso per controllare che non si
concludesse con un vincitore unico che poi sarebbe diventato un avversario commerciale
mondiale troppo potente. Poco dopo, nei primi anni Venti, veniva decisa la costruzione di
un immensa flotta di bombardieri strategici, espressamente pensata per attaccare il
Giappone il quale - sfidato dal Trattato di Kanagawa - era diventato il concorrente
commerciale numero uno per il possesso del Mercato dell’Oriente. Ma poi gli USA
entrarono nella grande mischia della Secondo Guerra Mondiale ed eseguirono i
bombardamenti a tappeto anche contro la Germania e l’Italia oltre che contro il Giappone:
il motivo per cui gli USA vollero a tutti i costi partecipare a questa guerra (tramite le
provocazioni ripetute al Giappone) era impedire al solito una vittoria chiara di un Paese
europeo in Europa (nella fattispecie della Germania, ma fosse stato il caso anche della Gran
Bretagna o della Russia), che sarebbe stata commercialmente dannosa, e strappare la Cina
al Giappone (che l’aveva invasa nel 1937) per tenerla per sé, speranza che nel 1949 con la
vittoria di Mao contro Chang svanì definitivamente.
 
   Le conseguenze della perdita della Cina furono la Guerra di Corea e la Guerra del
Vietnam, combattute per salvare il salvabile del Mercato dell’Oriente. Interessante nella
Guerra del Vietnam fu l’uso estensivo di defolianti negli anni finali, una grande topica di
quella guerra: gli USA già sapevano che si sarebbero ritirati e i defolianti furono usati per
distruggere le foreste degli alberi della gomma del Vietnam del Sud perché non facessero
concorrenza alle piantagioni che Multinazionali americane si erano procurate in Malesia.
Gli Americani dicevano di defoliare gli alberi per scoprire i Viet Cong, che sarebbero stati
annidati fra i rami come scimmiette. Grande.
   Poi di guerra in guerra si arriva alle ultimissime, sempre e tutte rigorosamente abbinate
con il commercio, come la Guerra del Golfo del 1991, combattuta per il petrolio e che sta
per essere replicata nell’anno 2003 in corso (anno in cui è stato scritto l’articolo, n.d.r.). Come
si vede sono elenchi anche noiosi, con tutto che è sempre uguale, con i meccanismi che si
ripetono volta dopo volta dopo volta. L’America è così, l’America non cambia.

Libro (mastro) e moschetto, Americano perfetto
   Nel contempo lo spirito del commercio armato si esprimeva anche all’interno
dell’Unione. Alcune manifestazioni economiche della società americana che hanno
sorpreso o allibito il mondo non sono state altro che espressioni estreme di questo spirito.
   Prendiamo lo schiavismo ad esempio: cos’è se non commercio armato allo stato puro?
Con la forza si costringono individui a lavorare per noi e poi si commercializzano i loro
prodotti sul mercato. E c’è tutta la fase del traffico degli schiavi, con le catture, i trasporti,
le vendite! Ciò negli Stati del sud degli USA andò avanti sino al 1865.
   Per tutto l’Ottocento una delle attività economiche americane più svilippate fu la
pirateria, praticata da migliaia di battelli che incrociavano l’Atlantico e il Pacifico,
penetrando anche nel Mediterraneo; solo sulle coste della Carolina del Sud si calcola che
nel 1830 fossero basati circa 1.500 velieri corsari, di fatto protetti dalle loro autorità perché
abbordavano navi di Paesi stranieri non dichiarati “amici” (adesso dicono senza la
“clausola di nazione più favorita”). altri velieri, non attrezzati per gli abbordaggi, si
dedicavano al business of wrecking: cercavano le tempeste e seguivano i mercantili in
difficoltà attendendone il naufragio per recuperare materiali; la parte di violenza umana
nella faccenda stava nell’ignorare i naufraghi, a meno che - essendo prima del 1865 - non
fossero stati schiavi neri, nel qual caso erano merce. Il business of wrecking andò avanti
sino agli anni del 1930 inoltrati. Da allora iniziò invece il treasure hunting, la caccia -
eseguita di professione e per scopo societario - ai tesori sommersi dei galeoni spagnoli e di
altre navi affondate; qui la parte “armata” consiste nell’eludere i governi legittimi
proprietari dei relitti e nel tenere lontani i concorrenti, facendoli anche affondare. Questa
attività, coadiuvata dai moderni ritrovati tecnologici, è attualmente in grande auge; il
governo USA ovviamente appoggia tramite la US Navy le navi specializzate connazionali
che agiscono fuori dalle acque territoriali, cioè in mare aperto o in acque territoriali
straniere.

   La diffusione delle armi negli USA deriva dal commercio armato interno, che in

particolare ebbe uno sviluppo abnorme nell’Ottocento, quando tutto il commercio dell’Ovest era così, con convogli scortati, magazzini presidiati e commessi armati nei negozi (non per nulla il periodo del Far West è il più amato dall’immaginario americano, che vi si riconosce). Le armi individuali servivano dunque ai commercianti e fu esattamente questa esigenza ad ispirare in verità il famoso Secondo Emendamento del Bill of Rights, quello che concede ai cittadini il diritto di portare armi; non fu (come dicono oggi) un rispetto eccessivo per le libertà individuali, né fu la necessità di avere una milizia territoriale armata (come apparentemente recita l’Emendamento stesso: “Dato che una ben preparata milizia è necessaria per la sicurezza di uno Stato libero, il diritto del popolo di
possedere e portare armi non sarà compromesso”; la verità è che la Milizia era organizzata e capeggiata dai maggiori imprenditori dei vari luoghi, che raccoglievano i loro dipendenti in armi). Le cose non sono troppo cambiate oggi, e basta entrare nella sede statunitense centrale di una Multinazionale o di una qualunque altra grande azienda americana per rendersene conto: sono così piene di guardie private, con le armi in evidenza, e capita così spesso di intravedere pistole in cassetti o in valigette “24 ore” di dirigenti che sembra di essere non in una struttura civica ma in un fortino, o in un covo di gangsters. A proposito di gangsters è evidente che anche l’abnorme sviluppo della delinquenza organizzata negli USA - vedi per tutti il periodo del Proibizionismo - è un indice di una mentalità americana dove commercio e violenza si sposano bene assieme. Emblematica al proposito la figura di Joseph Kennedy, il fondatore della dinastia Kennedy, padre di John, il Presidente ucciso nel 1963, di Robert, l’ex Attorney General ucciso nel 1968 e di Edward, il Senatore ancora
vivente e in carica: mise insieme la fortuna di famiglia organizzando - nel mentre che era
Ambasciatore a Londra per l’Amministrazione Roosevelt - il contrabbando di whisky dal
Canada verso gli Stati Uniti.

   Per il resto basta andare negli USA - e naturalmente viverci per un po’, non fare solo i turisti - per accorgersi di come in questo Paese sia tenue il confine tra gli affari e le rapine, tanto il commercio e ogni altra attività economica anche la più minuta sono intrisi di mendacità, inganni, prese per il collo, torsioni di braccia, prevaricazioni, ricatti, in breve di violenza. Basterà cercare di fare qualche transazione economica, anche molto semplice. Si vedrà che il soggetto economico con cui avrete a che fare cercherà prima di esaurire ogni arte per ingannarvi, e sarà mellifluo e suadente sino a che vedrà che il gioco gli riesce; ma se voi lo scoprirete e gli getterete in faccia la sua disonestà, lo vedrete trasformarsi in un rapinatore puro e semplice, incurante del vostro giudizio.
   A me capitò (fra gli altri) il seguente episodio: un meccanico sostituì un pezzo della mia Plymouth (il braccio di Pitman“ nella geometria di sterzo) e mi chiese una cifra spropositata; alle mie proteste lui mi disse che purtroppo tanto chiedeva quel “ladro” del ricambista; rimasi incredulo e allora lui, ancora pacioso e accomodante, fece una lunga telefonata al ricambista in mia presenza. Rimasi incantato: salutava, chiedeva di “Pete”, interrogava, rispondeva, faceva tutte le facce ma... il telefono era staccato. Non era un attore di professione, era un meccanico che aveva sempre fatto il meccanico. Era un americano. Gli rinfacciai il trucco ed ecco che l’uomo gettò la maschera: certo che chiedeva
il triplo del dovuto e certo che aveva tentato (secondo la più collaudata tradizione americana) la truffa sceneggiata ma o pagavo o si teneva la macchina. In un attimo i suoi compari unti mi furono attorno brandendo chiavi e cacciaviti e dovetti scegliere fra il cedere all’estorsione e la rissa con conseguente arresto da parte dello sceriffo della contea, probabilmente amico del soggetto e in ogni caso nemico di un uomo con l’accento strano. Pagai. Pagai il pezzo e il pizzo, al meccanico e all’America.

Se li conosci li eviti
   USA come patria del commercio armato dunque. Se si vogliono capire gli Americani, sia come individui che come Nazione organizzata, interpretare i loro movimenti, decifrare le loro intenzioni, bisogna tenere sempre presente questa loro identità, bisogna sempre ricordare che loro nell’essenza sono dei commercianti armati e niente altro. Essere un commerciante armato ha un significato preciso. Non si tratta di avere due specializzazioni in una stessa persona; si tratta di avere una persona dove due specializzazioni si sono fuse formandone un’altra sostanzialmente diversa pure se
imparentata, come capita per i metalli delle leghe. Il mondo divide le due attività, che quindi vanno affrontate separatamente; bene, la particolarità del commerciante armato sta nel modo in cui le affronta: egli commercia come fare la guerra e fa la guerra come commerciare. In breve egli non distingue la guerra dalle attività borghesi, dalla vita civile, dalle cose di tutti i giorni. E viceversa. Ciò vale sia per il singolo che per la collettività, per gli Stati Uniti.

   Così il modo di muoversi degli Americani è più chiaro. E gli Stati Uniti risultano nella loro vera, inquietante pericolosità. Essi non hanno mai concepito la guerra come una questione di eserciti, ma come una condizione totale, di popolo. Hanno infatti inventato la guerra totale, la prassi evidentissima di colpire le popolazioni civili per indurre le loro Forze Armate alla resa. Per colpire le popolazioni civili ricorrono poi non solo a sistemi “militari” come i bombardamenti ma anche a sistemi “borghesi”: pensano a provocare carestie, ad avvelenare materie prime e falde acquifere, a spargere epidemie di morbi vari, a peggiorare il clima portando siccità o piogge esagerate, a provocare invasioni di insetti o animali nocivi, a innescare terremoti, a deviare cicloni.
   C’è un provvedimento che gli USA spesso prendono in tempo di pace nei confronti di altri Paesi con varie scuse (diritti umani, protezionismo commerciale, sistema politico sgradito e così via liberando la fantasia): sono le sanzioni economiche, le proibizioni selettive di fornire a loro certi materiali o servizi, come medicine e know-how scientifico, o di acquistare da loro altre cose, in genere le materie prime dalla cui vendita dipendono. Sono atti di guerra, manifesti anche in sé e per sé ma tanto più così in quanto congegnati dagli Americani, che li eseguono con lo stesso spirito con cui in un assedio si tagliano le vie di rifornimento a una città per farla arrendere.

   Alle sanzioni può essere associato un altro provvedimento economico: il blocco dei beni, mobili e immobili, posseduti dal tale Paese negli USA, compreso il blocco di conti correnti. È un atto questo che lo si può vedere in due modi: a seconda di come si preferisce, o è una comune rapina compiuta da un soggetto che si chiama Stati Uniti d’America, oppure è un atto di guerra di un Paese con lo stesso nome, in entrambi i casi è una tipica performance da commerciante armato. Addirittura noi abbiamo visto che il blocco dei beni negli USA può essere eseguito anche nei confronti di singoli cittadini stranieri, uomini ricchi (naturalmente) che tenevano sostanze negli USA e che per qualche motivo sono diventati invisi a quel governo.
   Da qualche anno gli USA hanno cominciato una politica che sembra allettante: vendono sul mercato mondiale, a condizioni vantaggiosissime, le loro sementi geneticamente modificate, che hanno il pregio di fornire raccolti copiosi e immuni da germi ed insetti. Sembra la manna dal cielo, specie per i Paesi del Terzo Mondo sempre sull’orlo della carestia, ma c’è il problema che le piante nate da sementi modificate forniscono semi sterili e ogni volta bisogna comprare sementi nuove; comprarle dagli Americani naturalmente. Il tutto non è altro che una riedizione di un vecchio trucco da commercio armato: rendere dipendente un mercato da un prodotto di cui si ha il monopolio; a quel punto quel mercato - o quel Paese - è come lo si fosse conquistato con le armi. Allo scopo gli Americani sono anche disposti ad eseguire le prime forniture gratis: quando un Paese del Terzo Mondo è in carestia si precipitano a offrire come “aiuti alimentari” le loro sementi, contando di rifarsi
con le vendite a venire. Esattamente come fanno gli spacciatori di droga, che le prime dosi fuori delle scuole le regalano.

   Spesso nel leggere i resoconti di azioni politiche americane nel mondo ci si imbatte in nomi di Multinazionali americane, collegate alla faccenda in qualche maniera, una maniera sempre poco chiara e spesso strana; ad esempio nel colpo di Stato col quale gli USA rovesciarono Allende in Cile nel 1973 saltò fuori il nome fra i mestatori di un Ad Hoc Committee on Chile formato dalle dieci maggiori Multinazionali americane operanti in Cile, mentre nelle aggressioni degli USA in Medioriente di questi anni ricorrono i nomi di alcuni giganti americani del petrolio. Ora dovrebbe essere tutto chiaro: si è già detto che gli USA sono organizzati politicamente per esercitare il commercio armato e quei collegamenti non sono altro che la punta visibile del grande iceberg dell’intreccio fra commercio e guerra che domina la politica estera americana. Nessun Paese del mondo, per nessun motivo, ha a che fare solo col governo USA o solo con una qualche azienda americana; egli ha sempre a che fare con entrambi, anche se non pare, perché essi si muovono sempre assieme. E questo vale anche per qualunque soggetto economico privato del mondo, sia una azienda o proprio un singolo titolare: dietro la controparte privata commerciale americana con cui tratta c’è sempre, o può sempre saltar fuori, il suo governo di Washington. Per questo il presidente dell’ENI del tempo, Enrico Mattei, si trovò tanto - ma tanto - a malpartito: credeva di avere a che fare con le Sette Sorelle, delle semplici aziende estere concorrenti, ma il fatto è che cinque erano americane e chiamarono in aiuto il loro governo, chiesero man forte al presidente John F. Kennedy, e questi mise a disposizione la CIA (che a sua volta incaricò la mafia eccetera eccetera ).

   Già nel 1991 io scrissi che gli USA avevano impiantato un sistema di spionaggio satellitare mondiale che con la scusa della Russia era invece fatto per spiare i concorrenti commerciali delle aziende americane: ora la cosa è confermata, il sistema è quello poi chiamato Echelon, ed il suo scopo è proprio quello da me detto: benché fatto dai militari e pagato col budget del Pentagono il sistema è solo fatto per spiare sui concorrenti delle Multinazionali USA.
   Concludendo, gli USA non fanno distinzioni fra commercio e guerra. Dollari e pallottole per loro sono la stessa cosa. È tempo che il mondo apra gli occhi ed impari a trattare con questo fossile della preistoria tornato in vita disgraziatamente, come se un suo sordido resto organico - uno sputo, una cacca secca - fosse stato clonato da uno scienziato pazzo. Bisogna trattare il businessman americano come fosse un ufficiale del Pentagono. Quando lo si guarda bisogna sforzarsi di “vederlo” in divisa, possibilmente ancora imbrattata del sangue di vittime. Spesso poi è così, loro sono dei militari che si spacciano per civili come Colin Powell, l’attuale Segretario di Stato che si presenta sempre in completo blu ma che è un generale dell’Army, il gen. Powell. Come il presidente Eisenhower, che era il gen. Eisenhower. In tal modo si capisce meglio che si ha a che fare con un aggressore in armi, con un potenziale assassino, e che l’unica cosa da fare, invece che trattare con lui, concludere accordi, intavolare scambi e discussioni eccetera, è cercare di difendersene. Pazzo è colui che si fida degli Americani o intrattiene qualunque tipo di rapporto con loro, credendo che si tratti di un rapporto “commerciale”. Pazzo è chi acquista proprietà negli USA, chi tiene conti correnti o altri beni mobili negli USA, chi dipende dagli USA per qualunque cosa gli sia necessaria, chi acquista dagli USA sementi geneticamente modificate, chi traffica con gli USA in qualunque cosa. Pazzo è chi vende ad americani quote delle proprie aziende, facendo così entrare la volpe nel pollaio. L’unico
atteggiamento buono con gli Americani è la diffidenza, il rifiuto, l’ostilità. Con qualunque aspetto e scusa si presentino alla porta, qualunque oggetto, affare o scambio vengano a proporre.

sabato 7 novembre 2015

Quando ero bambino...



Quando ero bambino avevo capito tutto.

Avevo capito che questa vita, questo modo di vivere così come lo impongono, è terribile. Mi ricordo ancora adesso le domande che facevo alla mia povera madre: "Ma dopo le elementari cosa farò?" e lei: "le medie."

"E dopo?"
"Le superiori."
"E dopo?"
"Andrai all'università o al lavoro."
"Se vado al lavoro dopo cosa faccio?"
"Dopo andrai in pensione."
"E dopo?"
"Beh, dopo... dopo si muore."
"E se vado all'università?"
"Dopo che ti sarai laureato, troverai un lavoro."
"E dopo andrò in pensione?"
"Si"
"E dopo morirò?"
"Eh... si."
...
...
...
"Tutto qui? Questa sarebbe la vita?!"

Mi ricordo che rifiutavo completamente questa prospettiva, la trovavo terrorizzante e, dentro di me, mi dicevo no, no, non posso essere nato per questo, non può essere questa la mia vita! Non può essere questa la Vita!


venerdì 30 ottobre 2015

Uomini e Topi

Di Gianluca Freda (Blogghete!)



   Negli anni della nostra infanzia felice era bello rintontirci coi fumetti di Topolino. Ci perdevamo giocosi nel turbine di avventure della meditabonda pantegana disneyana. Viaggiavamo con la fantasia in una dimensione rarefatta, in cui la complessità delle relazioni umane e delle categorie morali era stata riscritta e ridotta ai suoi connotati elementari.
   Camminavamo leggeri per le strade di Topolinia, colorata città popolata da pantegane, mucche, cavalli, cani e bestie plurime dotate di parola, raziocinio e sentimenti umani, dalla quale gli uomini erano stati cancellati. Si individuavano, a monte della narrazione fanciullesca, i segni di una mostruosa operazione di pulizia etnica anti umana che il commissario Basettoni aveva ricevuto l'ordine di passare sotto silenzio. Ma non c'importava. Le pantegane di Topolinia erano così ridenti, spensierate, variopinte. Così diverse da noi, ma animate da principi etici robusti e riconoscibili, dall'antica e vivida dicotomia bene-male dei crociati, che non esitavamo a riconoscere come nostra. La loro superiorità morale, culturale e perfino tecnologica appariva lampante. Spennacchiotto e il dottor Enigm si beffavano con risate tenorili dell'arretratezza neanderthaliana delle nostre industrie petrolchimiche, siderurgiche e metallurgiche.

   Questi ratti festanti erano l'homo superior. Ci saremmo offerti con gioia ai loro rastrellamenti, saremmo discesi con letizia nelle loro allegre fosse comuni, avremmo salutato con riconoscenza i loro bombardamenti umanitari, straripanti di BOOM! e BANG! sui nostri quartieri. In buona parte lo abbiamo fatto davvero. I bambini della scuola di Gorla a Milano, la mattina del 20 ottobre 1944, esplosero dalla felicità quando Topolino e Pippo arrivarono dal cielo a fare giustizia di loro. Erano i loro liberatori. Prima di essere ridotti in frattaglie, avrebbero voluto chiacchierare un po' con i propri beniamini, domandargli della loro città piena di colori, invitarli a fare colazione con latte e biscotti nel tinello della loro casetta a ringhiera.

   Se ci pensate bene, invitare una pantegana nera alta circa un metro a bere il latte del mattino con voi non è esattamente un'idea felice. E' una cosa schifosa e perversa. Chi riuscirebbe a ingurgitare anche un solo boccone avendo di fronte un gigantesco ratto di fogna in calzoncini vermigli, che disquisisce di frivolezze con una vocetta stridula? Eppure immenso è il potere della riconversione mediatica dell'immaginario. Prima che arrivassero le pantegane topoliniensi, i bambini italiani sognavano di essere poliziotti (Dick Fulmine), eroi della guerra civile spagnola (Romano il Legionario), avventurieri dello spazio (Saturno contro la Terra), "indiani bianchi" del West (il "Kit Carson" di Rino Albertalli). Ci vollero anni di propaganda pervasiva per condurli a desiderare di essere pantegane. Anche in questo è possibile notare la superiorità psico-propagandistica dei servizi d'intelligence di Topolinia. Essi prendono tutto ciò che è rivoltante, anti umano, sgradevole, degradante, insopportabile e lo rendono fragrante e desiderabile come una torta di mele di Clarabella. Le pantegane invaderanno il vostro tinello, occuperanno la vostra casa, berranno nella vostra ciotola e voi non soltanto non telefonerete inorriditi al servizio di disinfestazione, ma le accoglierete con un sorriso, come si fa con gli ospiti di riguardo.

   L'invasione di questi putridi roditori pone, tra le altre cose, alcuni gravi problemi di carattere sanitario. Essi sono portatori di malattie gravi, tra cui la leptospirosi, la salmonella, la toxocariasi e la democrazia. Quest'ultima patologia, nello specifico, presenta un carattere epidemico particolarmente virulento. Le ultime manifestazioni epidemiche di democrazia, in Iraq e Afghanistan (e Libia ndr), hanno già provocato milioni di vittime. Ma anche in questo caso, gli apparati di propaganda topoliniensi si sono fatti in quattro per presentare l'affezione di questo morbo devastante come una condizione fisica privilegiata e altamente desiderabile. Essenzialmente, la patologia democratica attacca la gerarchia del merito e delle funzioni istituzionali all'interno di una nazione. Essa pone perentoriamente sullo stesso piano intellettuale, con apposita assemblea costituente, i meritevoli e i cialtroni, i saggi e gli scimuniti, gli eruditi e le comari. In democrazia, un imbecille non dice imbecillità, ma esprime legittime, sebbene non sempre autorevoli, opinioni, e per tutelare il suo diritto a blaterare a caso su questioni importanti, ogni cittadino democratico deve dirsi disposto ad offrire volontariamente la vita. Nella sua forma terminale, la democrazia consente l'accesso alla alte cariche dello Stato e agli incarichi pubblici di rilievo ai soli incapaci e analfabeti conclamati, considerandoli categorie protette anziché manodopera mineraria o (nel caso di babbei di sesso femminile) utili strumenti di espansione demografica. Ciò distrugge alla radice la solidità economica, politica e militare del paese, ne mina la governabilità, lo disintegra in miriadi di correnti politiche arroccate nell'attuazione di finalità demenziali, consentendo alle pantegane di prendere il controllo. E' per questo che le pantegane in calzoncini rossi decantano incessantemente le virtù della democrazia, esattamente come le brigate dei lanzichenecchi consideravano la peste di cui erano portatori un valore aggiunto e una manifestazione incontrovertibile della predilezione divina. In questa prava esaltazione ed unzione del morbo orrendo, esse trovano facile terreno di coltura nella massa, ampiamente maggioritaria, di minus habentes la quale, immemore della propria salute, inneggia apostolicamente alle virtù egualitarie della pestilenza, fino a morirne anch'essa in atroce supplizio, con le carni annerite dalle pustole livide della vanvera inconcludente.

   Tra le operazioni psicologiche d'abbellimento della prosaica realtà attuate dall'intelligence di Topolinia, spicca la divinizzazione della categoria dei "diritti umani". Nessuno ha ancora ben compreso che razza di roba siano questi feticci, ma si sa che Eta Beta, di tanto in tanto, ne tira fuori un paio dall'inesauribile taschino per lanciarli a Flip o per soffiarcisi il naso. Essi attengono alla sfera della filosofia politica, cioè dell'astrazione e della fantasticheria farfallesca, che è l'habitat naturale delle nostre ridenti pantegane a fumetti. Diritto alla libertà individuale, diritto alla vita, diritto all'autodeterminazione, diritto a un giusto processo, diritto ad un'esistenza dignitosa... concetti sopraffini, di cui il Prof. Pico de'Paperis disquisisce spesso nei suoi dotti interventi, ricevendo il consenso unanime e l'apprezzamento incondizionato dell'intera cittadinanza. Vi sono però alcune regole che occorre rispettare scrupolosamente se non si vuole che le pantegane s'incazzino sul serio. La prima è quella di non pretendere mai diritti di cui gli umani possano usufruire in concreto, come ad esempio il diritto ad un'abitazione gratuita, il diritto ad un lavoro e ad un salario decoroso, il diritto ad intervenire direttamente nelle scelte del governo, il diritto ad un'assistenza sanitaria gratuita e di buon livello, il diritto a non essere intercettati e spiati dalle autorità, il diritto a non veder tassati i propri redditi oltre il limite di sopravvivenza, il diritto a non vedersi sottrarre le risorse essenziali come l'acqua e il cibo dagli intrallazzi delle multinazionali, etc. tutto ciò che è concreto ed umano fa imbestialire i simpatici ratti con gli scarponi gialli. Non si rovina un sogno disneyano con rivendicazioni di squallida materialità. Tanto più che i diritti astratti sono stati ideati appunto con lo scopo di sostituire le rivendicazioni di diritti materiali con un loro simulacro virtuale. I roditori a fumetti odiano che la realtà interferisca con la vita quotidiana dei membri delle loro colonie. La realtà è un luogo molto pericoloso per una pantegana disegnata.

   La seconda regola da rispettare è quella di non chiedere mai alle pantegane di attenersi, esse per prime, ai dettami delle proprie astrazioni filosofiche. I "diritti umani" sono una creazione delle autorità topoliniensi, sono loro a detenerne il copyright, soltanto loro sono legittimate ad utilizzarli come unità di misura della moralità altrui. Guai ad applicarli contro i loro stessi ideatori. Si tratterebbe di una violazione di copyright, che le leggi di Topolinia puniscono con estrema severità. Si astengano dunque le popolazioni dell'Iraq, dell'Afghanistan, del Vietnam, della Corea, nonché i pochi sopravvissuti alla strage di Waco del 1993 (le squadre speciali di Basettoni fecero all'epoca 76 morti ammazzati, tra cui 21 bambini e 2 donne incinte) dal rinfacciare ai ratti festanti la loro incoerenza. Le popolazioni umane non ricevono tutela dalla legislazione di Topolinia, a meno che non accettino di farsi ridurre a pupazzetti disegnati, a parlare coi baloon e a farsi pubblicare su albetti da 32 pagine a 4 colori. Alcune popolazioni hanno comunque intrapreso questo difficile percorso di legalizzazione: i divertenti eroi della "rivoluzione in Libia"( l'articolo è stato scritto il 9 marzo 2011, ndr), ad esempio, compariranno presto in una nuova serie di cartoni animati e saranno coprotagonisti del nuovo lungometraggio di Winnie the Pooh.

   L'orda dei topi ghignanti riveste di fattezze vezzose le proprie ruvide pellicce nerastre, squittisce con voce di bambino mentre si appresta a dilaniare gli spettatori estasiati. Le pestilenze che porta con sé sono ricercate, contese, ogni singolo virus s'infiocchetta di nastri sgargianti e si tinge di arcobaleno mentre invade mortalmente il corpo ospite. Ho sentito con le mie orecchie, alla TV, un "guerrigliero" libico similtalebano, con lunga e crespa barbaccia nera, dichiarare ad un giornalista: "Tutto ciò che vogliamo è poter vivere anche noi come gli occidentali". E' il sogno disneyano che unifica l'umanità intera in un ricettacolo virale cosmico, il desiderio di tornare bambini che accoglie con tripudio ogni orrore tinto d'innocenza. Anche in Libia gli uomini di buona volontà non desiderano altro che ricevere nel proprio tinello i topi giocosi, parlare con loro dell'infanzia perduta, dividere con loro latte e biscotti mentre tra le imposte splendono i raggi di un'alba serena.

   I topi, di certo, non si fanno pregare.

      

mercoledì 28 ottobre 2015

Attacco al Potere: un altro film "proclama"?

   Come già visto parlando di "Sesso e Potere", ecco un altro caso di film non solo di chiara propaganda, ma i cui eventi, la concatenazione dei fatti, i personaggi presentati contribuiscono a formare la netta impressione che lavori del genere siano commissionati ad Hollywood direttamente dai poteri forti, allo scopo più o meno nascosto di usarli come "manifesto programmatico", come una dichiarazione d'intenti di quelle che saranno le future strategie che dagli stessi verranno messe in atto. Anzi, guardando con "senno di poi" (il film esce nel 1998), è difficile non pensare al film come un mezzo di comunicazione tra poteri, una "ipotesi di progetto" da discutere e sviluppare tra gli addetti ai lavori, e al tempo stesso come un forte e chiaro messaggio intimidatorio rivolto verso potenze nemiche e il mondo arabo in particolare (ecco cosa potremmo arrivare a fare!).
   Insomma un altro caso in cui le coincidenze sono tali e tante (viene addirittura preconizzata la figura stessa di Osama Bin Laden, simile sia nell'aspetto che nel nome!) da far dubitare fortemente in una semplice casualità.

   Chiarissima, invece, la propaganda atta a "rifare la faccia" alla nazione ripulendone l'immagine da varie macchie e scandali (il film richiama anche nel titolo originale "The Siege" una precedente opera di Costa Gravas "Etat de Siege", nota anche come "L'Amerikano", in cui si denuncia l'attività di tortura pianificata messa in atto in America Latina dal funzionario della CIA Dan Mitrione, figura qui subliminalmente richiamata e riabilitata da Bruce Willis tramite il solito espediente dell'"eccesso di zelo personale", eccesso ovviamente perseguito e punito dal potere ufficiale impersonato nella figura di Denzel Washington). Un'immagine nazionale che andava insomma ripulita e riproposta positivamente all'opinione pubblica soprattutto in vista di quello che gli USA si preparavano a fare nel mondo, giustificandolo con la classica motivazione della lotta al terrorismo.
   Molteplici e interconnessi i vari livelli di lettura, ben sviscerati nella loro funzione di propaganda dall'analisi di John Kleeves.


Recensione del film a cura di J. Kleeves

UNA AGENZIA FEDERALE CHIAMATA HOLLYWOOD
   Solita premessa. Hollywood dipende dalla grande e semi segreta Agenzia federale USIA (United States Information Agency, 30.000 dipendenti), operativa sin dal 1° agosto 1953 per lo scopo dichiarato, e ciò scritto nel suo atto costitutivo, di creare nel pubblico internazionale una certa voluta e falsa immagine degli Stati Uniti. In poche parole l'USIA è il Ministero della Propaganda americano. La necessità era - ed è - di occultare la reale natura dell'entità americana per poter condurre impunemente una politica estera micidiale: gli USA infatti non sono una democrazia, ma una dittatura dell'imprenditorato che ha per obiettivo lo sfruttamento materiale e umano dell'intero mondo.
   Hollywood, come del resto le altre entità aziendali americane del settore dei media (reti TV, case editrici e discografiche, etc.), deve essere sia autoremunerativa che soddisfare le esigenze dell'USIA. Come minimo, nessun film deve contraddire la versione della medesima sulla realtà americana, versione consolidata in ciò che si chiama Retorica di Stato Americana (USA opulenti, democratici, libertari, buoni, etc. in breve gli USA della Retorica di Stato Americana sono esattamente quelli che voi vi figurate in mente). L'USIA può anche arrivare a far produrre film ex novo, perché ha bisogno di un contenitore per certi temi speciali che le premono, ma in genere approfitta delle occasioni che si presentano per far inserire i suoi messaggi di valenza propagandistica, o politica o culturale. I soggetti importanti di Hollywood, i VIP, collaborano alla sistemazione perché necessario per rimanere a galla, dopo che era stato necessario per emergere. I grandi attori e i grandi registi di Hollywood sono così dei Divi di Stato e dei Registi di Stato, perfettamente equiparabili a dei funzionari governativi, e dei G-men di rango abbastanza alto. Io dunque esamino i film di Hollywood per segnalare al pubblico gli elementi di propaganda internazionale fatti inserire dall'USIA.

LA TRAMA
   Attacco al Potere, visto il soggetto, è uno di quei film in cui l'USIA interviene maggiormente, se non è proprio lei a idearli dall'inizio. La trama si svolge nei nostri anni a Brooklin, una frazione della città di New York che conta sui due milioni di abitanti. Dalle foto incorniciate appese in uffici pubblici si vede che il presidente in carica è Bill Clinton. Ad un certo momento si attivano in successione quattro cellule di terroristi arabi, che compiono attentati suicidi: è sequestrato e fatto saltare un autobus carico di passeggeri; è fatto saltare un teatro pieno di gente, un furgone bomba irrompe ed esplode in un grande edificio. I morti a questo punto sono 900.
   Le indagini sono condotte sin dall'inizio dall'FBI (la polizia municipale di New York non compare), nella persona del funzionario Anthony Hubbard (Denzel Washington), che già era il "capo degli agenti speciali dell'FBI" del distretto di Brooklin. Partecipa anche, ma a titolo personale, l'agente della CIA Sharon Bridget (Annette Bening). Dopo il terzo attentato il Presidente (cioè Clinton) proclama la legge marziale a Brooklin.
   Arrivano così i soldati, comandati dal generale De Veraux (Bruce Willis), che compiono rastrellamenti di arabi e ne chiudono migliaia in campi sportivi dotati all'istante di recinzioni e catenacci. De Veraux tortura e uccide personalmente un arabo, ma sono Hubbard e la Bridget a risolvere la situazione individuando la quarta e ultima cellula terrorista, che era costituita dal solo giovane Shamir, che sino ad allora aveva finto di essere un confidente della polizia, un collaborazionista; nel conflitto a fuoco sia Shamir che la Bridget muoiono. Il film termine con Hubbard che arresta De Veraux per l'omicidio dell'arabo.

IL TERRORISMO ARABO SECONDO L'USIA
  1) Il film tratta di terrorismo arabo. Già questo, considerato l'intero contesto Hollywoodiano, è propaganda. Infatti Hollywood affronta l'argomento "terrorismo" in modo selettivo: sempre tratta il terrorismo altrui e mai quello americano. Storia e attualità offrono una profusione incredibile di atti terroristici made in USA.
   Solo quelli di Cuba dovrebbero bastare:
   Esplosione nel 1960 del mercantile francese Le Coubre ancorato all'Avana; invio nell'isola dal 1961 al 1963 di almeno sei team di killer professionisti presi in prestito da Cosa Nostra per uccidere Castro; attacchi di aerei privi di insegne a pescherecci e manifatture cubane protratti per tutti i Sessanta e i Settanta, e cioè per vent'anni di seguito; contaminazione con Photoxin dei sacchi di iuta per imballare lo zucchero cubano, per sabotarne l'esportazione; invio nel 1969 e nel 1970 di aerei che sparsero cristalli per provocare siccità in zone fertili e piogge torrenziali in zone desertiche; diffusione nel 1961 di un'epidemia negli allevamenti di tacchini dell'isola; diffusione nel 1971 di un'altra epidemia negli allevamenti di maiali; diffusione nel 1981 di una influenza perniciosa che colpì 300.000 persone, delle quali 158 morirono (101 bambini); sabotaggio con bomba del 7 ottobre 1973 del DC8 della Cubana Airlines in volo da Barbados all'Avana con 73 persone a bordo, tutte morte; attentati dinamitardi agli alberghi cubani nel 1977 per danneggiare il turismo, in uno dei quali trovò la morte il turista italiano Fabio di Celmo.
   E potremmo portare migliaia di altri casi simili accertati che hanno riguardato e riguardano i quattro angoli del mondo: gli Air Commandos e i Navy Seals sono corpi speciali dedicati statuariamente ad attentati terroristici, per non parlare dei circa 80.000 agenti in campo della CIA, e tutta questa gente è sempre in missione, a fare o preparare qualcosa contro qualcuno.
   Orbene, mai Hollywood ha preso spunto da uno di quei fatti per fare un film.
   Lo avesse fatto direi che sarebbero normali anche film sul terrorismo arabo, o nord irlandese, o che altro. Ma non lo ha fatto e allora tutti i film di Hollywood sul terrorismo altrui sono semplicemente propaganda, realizzati come sono non per trattare storie di terrorismo in sé ma per colpire selettivamente qualcuno.
   2) In ogni caso terrorismo arabo, e rivolto contro gli Stati Uniti. Come tratta Hollywood il fenomeno? Per valutare ciò dobbiamo sapere come stanno le cose. Le cose stanno come nessun telegiornale in Europa Occidentale dice ma come ognuno dentro di sé realizza: gli Stati Uniti opprimono obiettivamente gli arabi in generale e i palestinesi in particolare, questi e quelli operano le ritorsioni che possono.
   Non ci sono dubbi sull'oppressione. Gli USA sostengono i regimi arabi invisi alle popolazioni come in Egitto, Giordania, Arabia Saudita etc. perché gli permettono un conveniente uso del petrolio mediorientale, e tormentano regimi popolari come in Libia, Iran e Iraq non glielo permettono.
   L'Iran si è liberato solo nel 1979 della tremenda dittatura esercitata dagli USA tramite lo Scià, mentre gli stessi USA nel 1991 hanno guidato una coalizione che ha provocato 300.000 morti in Iraq. E 300.000 morti non sono una cosa da nulla. Come non lo erano stati del resto i 290 passeggeri dell'aereo di linea iraniano abbattuto intenzionalmente (a scopo intimidatorio) nel 1988 dall'incrociatore americano Vincennes.
   Inoltre c'è naturalmente la questione di Israele, che solo gli Stati Uniti tengono in vita, partecipando ogni tanto ai massacri. nel 1982 i cannoni da 400 mm della corazzata New Jersey aprirono il fuoco sui campi profughi palestinesi in Libano facendo migliaia di morti, le solite donne, i soliti bambini, eccetera. Neanche queste sono cose da nulla. I terroristi arabi che colpiscono gli Stati Uniti pensano dunque di avere motivi validi e concreti per le loro azioni. Non ho detto che li hanno; ho detto che sono convinti di averli. Il solo concorda con la natura umana: nessuno di dedica a tali cose senza essere convinto di avere motivi validi e concreti.
   Il governo statunitense sa benissimo tutto ciò, così come lo sa l'intero establishment dominante nel paese. Sono anzi i primi a saperlo. Ma non va detto. L'USIA ha così preparato la sua versione sull'argomento "Terrorismo arabo anti-americano e anti-israeliano".
   E' una versione semplice. i terroristi arabi sono giusto dei pazzi fanatici religiosi, che si danno da fare non per vendicare - sia pure dal loro punto di vista - concreti morti e concreto sangue ma solo perché odiano la civiltà Occidentale. La odiano perché percepiscono che tale civiltà, data la sua forza oggettiva, e destinata a disgregare il loro fasullo mondo islamico fatto di curiosi muezzin, di donne velate, di paradisi dove schiere di vergini urie attendono i giusti. In poche parole odiano il Progresso.
   Questi terroristi se la prendono specialmente con l'America non perché questa abbia fatto loro torti particolari, ma perché l'America è il simbolo dell'Occidente, la sua punta di diamante. Se la prendono anche con Israele non perché li ha spodestati dalla loro terra, torturati a migliaia e assassinati a decine di migliaia, ma perché è una testa di ponte dell'Occidente nel loro mondo.
   Si può verificare che tale versione è stata imposta in tutti i film di Hollywood che hanno trattato il soggetto del terrorismo arabo, e ricordo in particolare Delta Force (1986) di Menahem Golan, con Chuck Norris; Wanted, vivo o morto (1987) di Cary Sherman; Frantic (1988) di Roman Polansky con Harrison Ford; Navy Seals: pagati per morire (1990) di Lewis Teague con Charlie Sheen; True Lies (1994) di James Cameron con Arnold Schwarzenegger. La versione è stata IMPOSTA: i registi, gli sceneggiatori e i produttori di Hollywood sanno benissimo come stanno le cose, proprio come lo sa il più sprovveduto di noi, ma appunto c'è la supervisione e la censura finale dell'USIA.
   Non ci sono dubbi che la versione sia stata imposta anche per Attacco al Potere. Per tutto il film i giovani arabi sospettati e spiati dagli investigatori dell'FBI sono presentati come esagitati carichi di un odio che non si sa da dove provenga. Dobbiamo essere vigili e notare anche quello che non c'è ma che logicamente avrebbe potuto e dovuto esserci: un bel monologo di uno di quei terroristi, magari diretto alla sua ragazza come si fa normalmente nei film, dove spiega la sua versione della storia, le sue motivazioni. MANCA.
   Solo nel finale Shamir dice qualcosa in merito all'agente della CIA Bridget che si accinge ad uccidere. E cosa dice?
   Solo questo (è un monologo di 8 secondi): qualche farfugliamento isterico, sconclusionato, e poi dichiara la frase che preme al regista e a chi dietro di lui, e cioè l'accusa all'America di "voler insegnare agli altri come vivere". Questo sarebbe il motivo di tutto, l'unica colpa dell'America: essere troppo grande, troppo forte, troppo attraente. Essere il Progresso.
   Il regista ci mostra come Shamir prima di accingersi a compiere il suo attentato suicida e sanguinosissimo (ed inoltre perverso: vuole fare una strage nella folla che protesta contro gli internamenti per farne ricadere la colpa sul governo) pratichi abluzioni rituali islamiche e indossi un sudario: chiara indicazione per il pubblico della natura religiosa-culturale delle sue motivazioni. Il particolare del sudario è macabro, inserito per colpire il subconscio del pubblico e caricare di negatività questi attentatori.
   3) Gli arabi sono presentati come una razza inferiore. Ciò perché sia così sono ritenuti utili dagli americani, e sia perché utile per togliere valore a qualunque loro rivendicazione. Sono presentati esattamente come gli indiani nei famigerati western di Hollywood: cenciosi, velleitari e fanatici, portatori di una cultura in estinzione perché non all'altezza. Sono anche sporchissimi, evidentemente abituati a vivere sotto le tende: l'appartamento in cui sono sorpresi dall'FBI i tre membri della cellula N°3 non potrebbe essere più lercio. Si è trattato di una indicazione precisa data allo scenografo, per convogliare il messaggio per via subliminale. Per contro la regia ci fa sapere che i tre della cellula passavano il tempo a guardare la televisione, mangiare pizza e bere drinks: inveiscono contro l'America ma i suoi agi piacciono anche a loro. Come gli indiani, che ululavano ma ricercavano i buoni utensili e il buon whisky.
   4) Si è detto che il generale De Veraux tortura e uccide un arabo. Lo fa in un gabinetto, dove l'uomo è sistemato nudo su una sedia. La scelta del gabinetto - precisamente un orinatoio - non è casuale ed ha valenza subliminale: quello è il posto per tale gente. Fatto il lavoro De Veraux esce e si toglie i guanti: guanti di gomma, sanitari. Vedremo che c'è molto ma molto d'altro su questo episodio.
   5) Assai curato il personaggio di Faruk Haddad, detto Frank, il vice di Hubbard all'FBI. E' un arabo americano inserito nella vicenda ostensibilmente perché conosce arabi e lingua, ma in realtà per fargli ricoprire il ruolo dell'arabo buono, esattamente come nei western c'era sempre l'indiano buono, quello voglioso di integrazione e collaborazionista (indiano buono che poi, la Storia insegna, ha fatto la stessa fine degli altri; in effetti non erano indiani "buoni", erano indiani deficienti).
   Durante i rastrellamenti dell'esercito anche suo figlio viene internato, lui ha un momento di ripensamento (l'America lo ha tradito) e lascia l'FBI dopo quindici anni di servizio. Ma l'America gli piace troppo: può dare dei dispiaceri, creare delle incomprensioni, ma è sempre la società migliore e più avanzata del mondo. Così riprende il distintivo che gli porge Hubbard e torna con entusiasmo a combattere per il Bene.
   La regia ci suggerisce anche cosa piaccia in particolare a Frank dell'America: il fantastico sviluppo tecnologico (Frank adora i marchingegni elettronici e invidia il rilevatore a microonde in dotazione all'esercito; al contrario degli arabi cattivi e testoni lui il Progresso lo capisce, e quindi lo apprezza).
   6)Si parla nel film di un certo sceicco Ahmed Bin Talem, famigerato sponsor del terrorismo. Evidentemente voleva ricordare lo sceicco Osama Bin Laden, ora famosissimo perché accusato dagli USA dell'attentato dell'11 settembre 2001 e già allora indicato alla CIA come principale mandante degli attacchi terroristici antiamericani, e cioè come Mostro Internazionale N°1. Citare Ahmed Bin Talem era un elemento di propaganda perché il film non solo sosteneva intenzionalmente le accuse della CIA, già una presa di posizione, ma anche voleva fare ciò senza parere, in modo nascosto, subliminale (il nome Bin Talem invece di Bin Laden).

ALTRA PROPAGANDA
   7) Il paese sembra impreparato agli attentati terroristici. Questi non mobilitano una burocrazia poliziesca precisa, che sembra non esistere: le indagini rimangono nelle mani del funzionario FBI del quartiere; non arrivano personaggi con ogni tipo di divisa e di qualifica, ognuno dei quali sappia perfettamente cosa fare. Evidentemente è impreparato perché tali attentati qui sono rari, trattandosi di un Paese così in armonia con sé stesso e col mondo. Invece questo non è il paese dell'armonia: ogni anno si verificano mediamente 150 attentati terroristici, solo i più clamorosi dei quali giungono ad avere un'eco all'estero (come gli attentati alle Twin Towers di New York del 1993, di Oklahoma City del 1995 che provocò 169 morti, di Atlanta durante le Olimpiadi del 1996, per non parlare di quello epocale dell'11 settembre 2001 che ha raso al suolo le medesime Twin Towers facendo 2.700 morti; Theodore Kaczinski, Unabomber, prima di essere arrestato nel 1996 aveva compiuto 16 attentati), ed una burocrazia in merito non solo esiste ma è anche elefantiaca. Altro che funzionario di quartiere del FBI.
   8) Agli Stati Uniti fa comodo fare credere che i loro Presidenti comandino. Così allontanano la cognizione del loro vero sistema politico, che è una dittatura dell'imprenditoriato esercitata collegialmente tramite il Congresso, e possono eventualmente incolpare un singolo uomo per i misfatti di una categoria. E' così una legge dell'USIA per Hollywood che i Presidenti siano presentati come ammantati di potenza suprema. Attacco al Potere non è eccezione, e l'unica entità pubblica che interviene al di sopra del funzionario Hubbard saltando ogni grado intermedio che, come appena detto, sembra non esistere è il Presidente, che ordina la legge marziale per Brooklyn.
   9) C'è un omaggio subliminale al becero senatore Jesse Helms, noto per la sua spietatezza all'interno contro i dissidenti politici, che fa finta di credere "comunisti" o "nazisti", e all'estero contro i paesi che non piegano il collo, che fa finta di credere "nazisti" o "comunisti": c'è una riunione di alti papaveri e un senatore, che prende la parola e gode di qualche inquadratura, è impersonato da un attore che assomiglia a Helms. Vecchio trucco: in Furore John Ford aveva fatto impersonare il direttore di un ostello per poveri a una comparsa che somigliava al presidente Delano Roosevelt.
   10) Gli Stati Uniti vogliono propagandare un'immagine di società multirazziale in armonia, dove tutti hanno pari opportunità e partecipano con pari entusiasmo alla vita civile, orgogliosi di far parte di una tale Great Society. E' ciò che ci si aspetta da un paese multirazziale e democratico. Balle naturalmente.
   Stiamo parlando di una Nazione che è stata schiavista sino al 1865 (sino a ieri, cioè); che ha dato nominalmente diritto di voto a tutti solo nel 1964 (un'ora fa, praticamente); che in questo preciso istante esclude ogni minoranza riconoscibile da qualunque posizione di potere effettivo, sia politico che economico; ed il cui gruppo dominante WASP (White Anglo Saxon Protestant) si crede il popolo eletto.
   Così come nei film di guerra di Hollywood i reparti presentano una composizione etnica che riflette rigorosamente la percentuale nella popolazione (tot anglosassoni, tot caucasici, tot neri, e se c'è posto un ispanico, un giallo, un ebreo, quant'altro), allo stesso modo si presenta in Attacco al Potere la sezione dell'FBI di Brooklyn comandata da Hubbard, arricchita per l'occasione dall'arabo Faruk-Frank (il film La sottile linea rossa fa eccezione, perché i soldati sono tutti bianchi; ma c'è un motivo, per il quale rimando alla mia analisi del film pubblicata su questo stesso giornale).
   Si fa di più in questo film: l'attore Denzel Washington è infatti un nero. E' lui, un nero, il protagonista del film; la parte di Bruce Willis è del tutto secondaria. Come ognuno sa è una rarità per Hollywood concedere la parte di protagonista a un nero. Perché non rende al botteghino. Le cose sono andate presumibilmente nel seguente modo.
   Si tratta di un film altamente politico, la cui stesura è caduta completamente nelle mani dell'USIA, se come già detto non è stata lei ad avviarlo. Questa voleva presentare il Paese nel modo più innocuo possibile, vittima innocente di un malvagio e ingiustificato terrorismo arabo. Cosa di meglio che affidare la parte del capo investigatore americano a un nero?
   E' come dire: I neri stessi ci amano al punto di combattere in nostra difesa, tanto li rispettiamo e siamo delicati con loro; che motivi possono mai avere gli arabi per odiarci? La scelta avrebbe però comportato sacrifici al botteghino per la 20th Century Fox e allora il Divo di Stato Bruce Willis accettò una particina per fornire un nome nei manifesti. O più probabilmente dovette accettare, perché si trattava di una comparsata davvero poco attraente: come vedremo De Veraux-Willis è utilizzato per riabilitare un mostro.
   11) Hubbard trova modo in un rapido scambio di battute di dirci cosa è l'FBI: lo scopo dell'FBI, dice, è "opporsi al crimine". Non è vero. L'FBI - Federal Bureau of Investigations - è la polizia politica americana e il suo scopo è di controllare e reprimere il dissenso politico interno. Fu l'FBI a condurre tutte le grandi repressioni americane del Novecento: la Red Scare del 1920-22; la neutralizzazione del movimento sindacale del 1945-47; l'Era McCarthy del 1950-60; la soppressione del movimento per i diritti civili dei neri e delle Pantere Nere del 1964-72.
   12) L'FBI represse il movimento delle Pantere Nere nel seguente modo: i suoi anonimi agenti tendevano agguati in strada ai leader del movimento e li uccidevano. Gli agguati dell'FBI avvenivano spesso all'uscita di bar, di notte. Con questo sistema furono eliminate alcune decine di persone. Bobby Seale, scampato ai sicari dell'FBI ma tenuto in carcere sino al 1997 con pretesti, appena uscito ha rilasciato una intervista, diffusa anche da Rete 2, dove ha confermato quelle procedure. Ebbene il film contiene una scena designata specificatamente a riabilitare l'operato dell'FBI del periodo: la cattura da parte della squadra di Hubbard di un sospetto terrorista, che avviene all'uscita di un bar, di notte. La scena ricorda gli agguati omicidi di allora ma li colloca adesso in un contesto positivo. Ciò ha valenza subliminale: il subconscio dello spettatore (soprattutto americano) conclude che anche gli agguati di allora erano a fin di bene.
   13) Diversi elementi di propaganda riguardano la CIA. C'è un suo agente nel film, ed è una donna, e di aspetto dolce e fragile; morendo cerca di recitare il Padre Nostro, aiutata da Hubbard. Ci sono agenti della CIA donne e con un dolce aspetto, ma visto il tipo di film si è certamente trattato di una scelta precisa, allo scopo di porre in buona luce l'Agenzia.
   Invece il fatto che la medesima reciti il Padre Nostro è una invenzione propagandistica completa: gli agenti della CIA - specie quelli operativi sul campo - non sono tipi da preghiere, per quanto delicato sia il loro aspetto; sono dei mercenari, dei veri assassini di professione, e senza dubbio ciò vale anche per gli agenti donna. Quindi Hubbard - da funzionario dell'FBI ligio alla legge come sono certamente tutti i funzionari dell'FBI, non è vero? - vuole arrestarla perché per legge la CIA non può operare sul territorio nazionale statunitense.
   E' vero che è così per legge, ma è altrettanto vero che all'atto pratico la legge è ignorata, come tutti sanno negli Stati Uniti, compreso Edward Zwick. Potrei fare decine di esempi a supporto, non ultimo l'assassinio dell'ex ambasciatore cileno Orlando Letelier compiuto nel 1973 a Washington - la capitale, sita ben all'interno del territorio degli Stati Uniti - da un team di agenti della CIA guidato dal funzionario della stessa Orlando Bosch (un collega della nostra dolce Sharon Bridget).
   Ricordo solo che le Pentagon Papers nel 1972 rivelarono che la CIA stava spiando negli Stati Uniti circa 200.000 cittadini, mentre 400 suoi agenti erano infiltrati nei media nazionali. Oggi come oggi non ci sono Pentagon Papers che facciano rivelazioni ma non è impensabile immaginare che i cittadini spiati siano 400.000 e gli infiltrati nei media 800. E nel film Hubbard vuole arrestare la Bridget. Questa è ancora più grossa di quella dell'agente della CIA che recita il Pater Noster.
   14) Un grande cavallo di battaglia della propaganda di Stato americana  è il seguente: i misfatti ed efferatezze varie compiute dagli Stati Uniti all'estero sono sempre dovuti all'eccesso zelo personale di singoli militari, agenti o funzionari, o alla loro sempre personale crudeltà o corruzione.
   Mai, come ovviamente invece è, i medesimi misfatti ed efferatezze sono il risultato di una volontà cosciente del governo americano. Così quando il funzionario CIA Dan Mitrione alla fine dei Sessanta organizzava gli Squadroni della Morte in Uruguay e istruiva i poliziotti locali nelle tecniche di tortura tenendo corsi di addestramento in una cantina della sua villetta di Montevideo dove martoriava personalmente fino alla morte delle persone innocenti, ebbene tutto ciò lui non lo faceva eseguendo gli ordini del superiore e del superiore del superiore così via fino al Congresso; no, per carità, lui lo faceva per eccesso di zelo personale anticomunista, unito forse a un certo sadismo congenito (altrettanto sadicamente Mitrione fu poi rapito e giustiziato dai Tupamaros).
   Così per i 16.500 oppositori politici sud vietnamiti torturati e uccisi dalla CIA con la collaborazione della polizia locale nell'ambito del programma Phoenix voluto da John F. Kennedy: eccesso di zelo dei funzionari CIA sul posto. Quando le Pentagon Papers rivelarono che erano aerei della CIA e del Pentagono che esportavano alle Hawaii l'eroina del Triangolo d'Oro, eroina che da là andava in tutto il mondo coi proventi di ritorno che finivano in banche della Florida, la commissione d'inchiesta senatoriale concluse: alcuni funzionari della CIA e alcuni generali del Pentagono corrotti. Al solito si potrebbero fare decine e decine di esempi.
   Il generale De Veraux-Bruce Willis è appunto uno di questi personaggi cari alla propaganda dell'USIA. Un funzionario statale - nel caso un generale operativo dell'esercito - troppo compreso del proprio ruolo, che per eccesso di zelo nel difendere quella cosa grande, buona, irripetibile che è la sua Patria, l'America, travalica gli ordini (sempre troppo moderati, inadeguati a quel mondo cattivo che c'è là fuori) sino a infrangere la legge, sino a compiere crimini aborriti dalla sua stessa America.
   Ecco - ci dice il film - sono tipi del genere che hanno creato gli Squadroni della Morte in America Latina; che hanno fatto mitragliare da elicotteri i raccoglitori di banane guatemaltechi in sciopero contro la United Fruits; che hanno fatto torturare a morte 16.500 oppositori politici sud vietnamiti; che hanno eseguito la strage di My Lai; che hanno fatto bombardare ospedali in Corea, Vietnam e Iraq; che hanno fatto 4 milioni di morti in Corea e 6 milioni di morti in Vietnam; che hanno fatto bombardare i campi di palestinesi in Libano; che hanno... che hanno... che hanno.
   Chi ha fatto tutto ciò è sempre stato il governo americano, sapendo ciò che faceva, e il regista del nostro film in merito non fa che fare propaganda, quella che gli impone lo stesso governo. La scena finale riassume la versione dell'USIA: Hubbard rinfaccia a De Veraux il suo comportamento illegale e lo sfida ad ordinare ai suoi soldati di ucciderlo; De Veraux, pure perverso, non vuole spingersi a tanto (Hubbard in quel momento rappresenta la Vera America, che lui rispetta) e si fa arrestare per l'omicidio dell'arabo.

CHI SI RIVEDE, DAN MITRIONE
   15) Ed ecco la parte per cui dovremo sempre ricordare Bruce Willis, se non come attore almeno come uomo. L'episodio in cui De Veraux tortura l'arabo nel gabinetto vuole premeditatamente rievocare le torture eseguite da Dan Mitrione nella sua cantina di Montevideo, che lui aveva fatto attrezzare come un orinatoio - con rubinetti, scarichi a terra e piastrelle alle pareti - per gli schizzi di sangue delle vittime e le altre perdite corporali.
    E' lui il mostro che Willis riabilita. La già buona (e non casualmente) somiglianza fisica di Willis con il fu Mitrione, un uomo di 50 di origini italiane, stempiato, è esaltata aumentando con ritocchi la sporgenza del naso dell'attore. Al tempo sui giornali comparvero foto di Mitrione in divisa (prima di entrare nella CIA era stato il capo della polizia municipale di Richmond, Indiana), e anche De Veraux è in divisa. Il messaggio subliminale per il pubblico è che Dan Mitrione era giusto un elemento come De Veraux e che le sue vittime erano dopotutto dei terroristi.
   Invece Mitrione obbediva agli ordini dei superiori nel quadro del Public Safety Program varato dal Congresso per l'America Latina e le sue vittime erano accattoni e accattone fatti rapire a caso nelle strade di Montevideo. L'episodio costituisce dunque una riabilitazione surrettizia di Dan Mitrione, la cui vicenda al tempo fece molto e negativo clamore per gli USA.
   Una operazione analoga a quanto fatto nel film Forrest Gump con l'attrice scomparsa Jean Seberg, anche se in scala assai ridotta e all'incontrario: Mitrione è riabilitato mentre la Seberg è diffamata. Bravo Willis. Il pubblico italiano potrà dire di non aver mai sentito nominare Dan Mitrione. Ma Hollywood-USIA non produce solo per l'Italia; produce per il mondo e ci sono paesi dove l'episodio ha lasciato lunghi strascichi nella memoria. Negli stessi USA ad esempio, dove ai funerali di Mitrione a Richmond parteciparono Frank Sinatra e Jerry Lewis, o in Francia, che produsse un film sulla vicenda: Etat de Siege (L'amerikano, 1973) di Costantin Costa Gravas, con Yves Montand e Renato Salvatori.

ANCORA PROPAGANDA
   16) Invece il fatto che De Veraux fa rastrellare gli arabi di Brooklyn e li fa rinchiudere in campi sportivi attrezzati con recinzioni vuole rievocare il colpo di Stato in Cile del 1973, quando come tutti ricordano i sospetti oppositori furono rinchiusi negli stadi a decine di migliaia. E' una riabilitazione perché suggerisce che anche in quell'occasione ci fosse qualche valido motivo. Non c'erano invece validi motivi: occorreva solo ribaltare un governo Allende che rendeva difficile alle Multinazionali statunitensi lo sfruttamento del Pese. Si sa tutto sulla vicenda: il colpo del '73 in Cile fu richiesto da 10 Multinazionali statunitensi operanti in loco, che poi contribuirono con fondi; fu deciso dal Congresso; fu approvato da Nixon; fu diretto da Kissinger; e fu fatto eseguire al generale Augusto Pinochet.
   Anche questo rivela dunque dei collegamenti con Etat de Siege, un film dedicato al sovvertimento violento statunitense dell'America Latina. In effetti questo film  è stato un riferimento importante per gli ideatori di Attacco al Potere: volevano anche riabilitare - dato che vi era l'occasione - i misfatti compiuti dagli Stati Uniti in America Latina ed un sistema ottimo era di richiamare surrettiziamente un film critico ma famoso sull'argomento e quindi di ribaltarne altrettanto surrettiziamente le tesi.
   E' un  po' complicato, ma tutta la propaganda americana è complicata, sofisticata, basata com'è su una scienza psicologica avanzatissima, e se ci si vuole difendere occorre essere all'altezza. Per quegli stessi ideatori il collegamento con Etat de Siege è stato così importante da condizionare il titolo stesso dell'opera, che in originale è The Siege, una parola che compare uguale, anche come pronuncia, nel titolo del film di Costa Gravas. Per il pubblico italiano l'aggancio è venuto a mancare, o per questioni di lingua o perché qui L'Amerikano non ha lasciato tracce (per forza: in questo Bel Paese tutto libertà e senza censura il film è stato ritirato subito dopo l'uscita nel 1973).
   17) De Veraux è dunque un generale dell'esercito e l'USIA non manca l'occasione di fargli dire qualche utile falsità in proposito. Gliene fa dire due. De Veraux dice testualmente che l'Army è "la più temibile macchina bellica della storia del mondo". Le forze armate di terra americane sono ben lungi da questo livello. Anzi sono sempre state di una debolezza stupefacente. Marina e Aviazione sono fortissime, ma l'Army è così. Per la dimostrazione di questa affermazione rimando al mio Sacrifici Umani (Edizioni Il Cerchio), dove è anche contenuta la spiegazione del fenomeno.
   Qui mi devo limitare a fare osservare che gli Stati Uniti hanno sempre perso o non vinto tutte le guerre che potevano risolversi solo con le forze di terra (Corea, Vietnam, anche Guerra del Golfo del 1991), pur avendo sempre goduto di una ampia superiorità sia numerica che naturalmente di mezzi (in Vietnam 51 divisioni contro 10 divisioni nord vietnamite e 120.000 guerriglieri). I vertici militari e politici americani lo sanno benissimo (sono i primi a saperlo) ma non vogliono certo che il mondo se ne accorga: nei conflitti evitano con varie scuse gli scontri di terra e fanno polverone con l'aviazione, e per il resto ci pensa l'USIA con la propaganda, tramite soprattutto Hollywood.
   La seconda falsità è la seguente. Sempre De Veraux dice che l'Army non è adatta per gli interventi di polizia, benché sia stata costretta a farne qualcuno "all'estero", "ad Haiti e in Somalia". E' una falsità doppia.
   Dal 1945 ad oggi gli Stati Unitii hanno compiuto circa 500 interventi armati all'estero, 218 documentati uno per uno dal 1945 al 1975; altro che "qualche intervento". Quindi questi interventi non sono certo a scopi di polizia: sono nell'ambito della politica neo coloniale statunitense nel mondo a favore delle loro Multinazionali.
   18) Il pericoloso generale americano si chiama De Veraux. Non si chiama Jones, Brown o Smith; si chiama De Veraux. Non è per caso e vuole suggerire per via subliminale che i funzionari americani che travalicando gli ordini fanno del male all'estero non sono veri americani; non sono WASP anglosassoni ma di altre etnie, nel caso francese. Anche Mitrione, ammicca infatti la regia, non era un WASP, perché di origini italiane. I WASP sono buoni.

ATTACCO ALLA VERITA'
   Così, passo dopo passo, inquadratura dopo inquadratura e senza che noi ce ne accorgiamo minimamente, il film ci propina un numero insospettabile di menzogne. E cioè:

  • che il terrorismo arabo antiamericano è un fatto religioso culturale;
  • che gli USA non hanno fatto torti agli arabi;
  • che gli arabi sono una razza inferiore;
  • che gli USA non sono abituati al terrorismo interno;
  • che gli USA sono una democrazia;
  • che il Presidente ha grande potere;
  • che l'FBI è una normale polizia civile;
  • che la CIA non opera nel territorio nazionale;
  • che gli agenti della CIA sono persone brave e anche religiose;
  • che il sen. Jesse Helms è un benintenzionato;
  • che negli USA c'è una perfetta integrazione e armonia razziale;
  • che le nefandezze americane nel mondo sono dovute ad iniziative di singoli;
  • che Dan Mitrione era giusto uno di questi singoli;
  • che questi singoli non sono normalmente dei WASP;
  • che il colpo di Stato in Cile aveva validi motivi;
  • che le forze di terra americane sono forti;
  • che gli interventi armati americani all'estero sono pochi;
  • che gli stessi sono motivati da esigenze di "polizia internazionale".
   Già notevole ma non basta. Come tutti i film di propaganda, oltre ai singoli e isolabili elementi di falsità appena visti, Attacco al Potere contiene infatti anche dei messaggi subliminali di sintesi, ottenuti convogliando tramite tanti particolari e dialoghi opportunamente strutturati e connessi delle impressioni generali agli spettatori. Nel caso i messaggi sono i seguenti:
   a) che l'America è oltremodo preoccupata e impreparata di fronte agli attacchi terroristici (che trova del tutto immotivati) e può reagire dissennatamente ricorrendo alle Forze Armate e a elementi come De Veraux, che poi fanno sfracelli e colpiscono anche gli innocenti, in patria e può capitare anche all'estero.
   b) che gli arabi americani si devono guardare dal coprire i terroristi arabi perché il governo potrebbe perdere la testa a tal punto da considerare nei loro confronti gli stessi provvedimenti presi a suo tempo con i giapponesi americani (internamento coatto). Non sarebbero quindi dei provvedimenti tipici di uno stato totalitario, ma dettati solo da isteria e inesperienza. Sono delle minacce al mondo, e agli arabi americani, convogliate tramite Hollywood.

DOPO L'11 SETTEMBRE 2001
   Tranne qualche aggiustamento per la sincronizzazione, l'analisi precedente risale al 1998, quando la scrissi per l'uscita del film in Italia. Ora siamo alla fine del 2001 e non possiamo non notare come quelle minacce dei messaggi di sintesi si siano realizzate nella vera pratica.
   C'è stato l'attacco alle Twin Towers e gli USA hanno reagito ricorrendo veramente alle Forze Armate e facendo veramente sfracelli all'estero: hanno addirittura portato la guerra ad un paese, l'Afghanistan, e sembra ne preparino altre contro la Somalia, il Sudan, l'Iraq e chissà quanti altri. Gli arabi americani non sono stati dimenticati: in base all'USA Patrioct Act introdotto dal governo americano il 13 novembre 2001 già 5.000 di loro sono stati convocati, questionati e debitamente intimoriti dalla polizia, mentre 1.200 sono stati arrestati arbitrariamente; tutta la comunità sa di essere una sorvegliata speciale, un altro passo e c'è il campo di concentramento, magari in Alaska dato che l'America non ha una Siberia.
   La precisione con cui il film ha anticipato una tale reazione in una tale evenienza - una reazione non scontata, non ovvia - lascia dei sospetti: captava forse questo film gli echi di strategie politiche che filtravano dalle stanze del potere, di scenari che si stavano preparando, compresi magari gli attentati? Non lo sappiamo; è un altro dei tanti dubbi lasciati dall'attentato dell'11 settembre.

domenica 18 ottobre 2015

Capire la propaganda: Babbo Natale e la Coca Cola

di Mond-Art

   "Il vero lavoro non è tanto nel costruire la lavatrice, quanto nel costruire chi dovrà comperarla".

   Dite la verità: anche a voi viene spontaneo mandare Marzullo a quel paese, quando esordisce chiedendo all'ospite di turno: "La vita è un sogno?"

   Eppure, vedendola nel contesto del discorso che stiamo facendo sull'Immaginario Collettivo, questa domanda non appare poi così strampalata... in effetti quella che chiamiamo "Realtà" altro non è altro che la traduzione in pratica dell'"Immaginario" di un popolo, ossia di tutto l'insieme di cultura, religione, credenze, miti, tradizioni, desideri e aspirazioni singole e collettive, che possiamo attribuire ad una determinata civiltà. Ancora, possiamo dire che l'Immaginario Collettivo è il punto d'incontro e di fusione dei vari immaginari di ogni singola persona di quella popolazione, immaginari che possono essere anche molto diversi tra loro, ma che si raccordano e si trovano su quello che "viene preso per buono da tutti", sul "Denominatore Comune" che, per forza di cose, tenderà automaticamente a spianare verso il basso la cosiddetta "Opinione Pubblica": all'interno di un'opinione di massa il pensiero di un ciabattino sarà assolutamente uguale a quello di un astrofisico.

   Immaginario che è fatto per la gran parte proprio di sogno, di aspirazioni, di idee immateriche non necessariamente ritenute "vere" nella realtà. eppure comunemente accettate e "realmente agenti": nessuno crede per esempio alla reale esistenza di Babbo Natale, eppure a tutti piace crederci, e per alcuni giorni all'anno tale idea governa in buona parte il nostro comportamento, i nostri pensieri, le nostre idee, le nostre azioni.

   Dunque Marzullo ha più ragione di quel che sembri, in quanto la vita, se non proprio un sogno, è il tentativo che ognuno compie di tradurre in pratica il proprio personalissimo "Immaginario"!

   E come ogni persona cercherà di realizzare il suo immaginario personale, una civiltà metterà in pratica il proprio Immaginario Collettivo, che può differire da cultura a cultura: gli Indiani d'America, per esempio, vivevano secondo un Immaginario Collettivo fortemente legato alla tradizione e ad un'alta "personificazione" dell'individuo e stima del gruppo nelle sue capacità; gli inglesi ivi immigrati vivevano secondo un Immaginario Collettivo che privilegiava un'idea di forza e di conquista, dove la persona acquisiva valore non tanto per le proprie intrinseche qualità ma per quanto riusciva ad imporre la sua volontà, e dove il gruppo favoriva quindi la "depersonificazione" a favore dell'idea dominante del "sogno americano".

   Ma torniamo al nostro Babbo Natale: perché è bello crederci, anche se la nostra mente logica sa perfettamente che si tratta solo di una figura immaginaria?
   Perché è un "Archetipo". ossia un'icona che riassume, convoglia e veicola non solo dei concetti astratti e universali, ma anche (e proprio questa è la cosa più importante) tutta la forza emozionalmente positiva che si lega ad essi (e NESSUNA azione spontanea è possibile senza una sottostante spinta emotiva!).

   Quali sono infatti le immagini che per libera associazione vi vengono in mente se pronuncio la parola "Babbo Natale"?
   Probabilmente il Nonno, burbero ma buono; lo zio, o una figura comunque paterna molto positiva; l'autorità buona, un dio minore (ma proprio per questo più "vicino e umano"); l'idea stessa di Bonarietà e Tolleranza... insomma il "padre ideale", appunto: buono, industrioso e geniale, tollerante, generoso, affettuoso e poi la festa, lo stare insieme, il concetto di regalo e di dono da condividere reciprocamente, la positività del donare, lo stare in famiglia, il calore famigliare, il calore della casa e di un camino... tutto questo vi verrà in mente, in forma condensata, in una sorta di "pacchetto emozionale positivo" che andrà ad influenzare il vostro sentire, pensare ed agire. Immagini ed emozioni che si condenseranno in una semplice icona, quale appunto è quella di Babbo Natale.

   A questi "Archetipi Assoluti" si associano gli "Archetipi Culturali" specifici di ogni cultura: così se originariamente Babbo Natale (o per meglio dire San Nicola) era il vescovo che sottomise il Demonio a rappresentare il rito di vittoria del Bene sul Male, nella nostra attuale cultura è il dispensatore di beni, di regali, di oggetti. Trasformazione commerciale comunque già molto emblematica della "sostituzione" avvenuta a livello di Archetipo e di Immaginario (e tendente a riutilizzare in senso utilitaristico la "carica emotiva" della lotta del Bene sul Male).

   Ma cosa succede se si va a mettere direttamente tra le mani di Babbo Natale la bottiglietta di una bibita?

   Un sacco di cose ma analizziamole singolarmente, vedendo sia cosa succede all'icona (idea figurativa) della bibita, e all'icona di Babbo Natale e chi e cosa ci guadagna e ci perde da tale operazione.

COSA SUCCEDE ALLA BOTTIGLIETTA?


   Vediamo subito che chi ha tutto da guadagnare da tale operazione sarà proprio la bottiglia, sulla quale verranno riversate tutte le caratteristiche sopra citate di Bontà (se Babbo Natale è buono, vuoi che beva qualcosa di non altrettanto "caratterialmente buono"?).
   Insomma la bottiglietta di Coca Cola diventa un PARASSITA EMOZIONALE che "succhierà" tutta l'energia positiva generata dall'icona di Babbo Natale e dalle emozioni positive ad essa legate.

COSA SUCCEDE A BABBO NATALE?

   E se tutto finisse qui, non sarebbe poi un gran male.
   Ma cosa succede contestualmente all'archetipo di Babbo Natale?
   Che viene "eroso e consumato dal suo Parassita", come per ogni organismo parassitato (non vi fischiano le orecchie con un'analoga strategia usata nel campo del pensiero culturale dei popoli?).

   Come in una sorta di vasi comunicanti, infatti, Babbo Natale a sua volta prendere sempre di più le sembianze del prodotto che pubblicizza (e questo lo vediamo, anche formalmente, nell'evoluzione nel tempo degli spot stessi: dapprima spariscono le renne, poi la stessa figura ormai inutile di Babbo Natale: la sua forza iconica è già stata completamente parassitata dal prodotto, e ormai non c'è più bisogno di lui...).
   Quel che è più grave è che il nuovo archetipo ora esistente manterrà invariata tutta la sua forza emozionale, forza non più diretta verso un'idea iperurania e superiore di Bene, Generosità, Affetto, Calore Familiare, Dono etc. ma verso il semplice consumo di un'insignificante prodotto commerciale.

   Con un meccanismo che possiamo tranquillamente chiamare come: "Furto degli Archetipi", essi vengono man mano svuotati del loro significato primigenio, e tutta l'emozionalità ad essi legata verrà riversata su un diverso contenuto, prodotto o idea che sia.
   E come prima i termini "Bontà" e "Babbo Natale" condensavano lo stesso significato, così ora non solo l'equazione si estende in quanto "Bontà sarà l'equivalente di Babbo Natale che sarà l'equivalente di Coca Cola", ma (cosa ben più grave) varrà anche l'equazione inversa, per cui "Coca Cola" sarà equivalente a Babbo Natale e a tutto quello che, razionalmente ed emotivamente, esso rappresenta nel profondo del nostro Immaginario... per cui arriveremo ad associare gli assoluti visti sopra ad una banalissima bibita zuccherata.

   Questo è esattamente il meccanismo, fondamentale in ogni sostituzione dell'"Essenza" di una persona come di un'idea, che prende il nome di DEPERSONIFICAZIONE o ALIENAZIONE: Babbo Natale subisce una "depersonificazione o alienazione" appunto, che ne svuota l'essenza originale per rimpiazzarla con altro, ad uso e consumo di chi favorisce il processo medesimo. E' il processo tipicamente pubblicitario per cui "le persone diventano oggetti e gli oggetti persone": quella ora non è più una semplice bibita zuccherata, ma l'idea stessa di bibita, una quasi divinità assurta nell'alto dei cieli, e la cui peculiarità è la "bontà caratteriale".

COSA SUCCEDE A NOI?

   Noi semplicemente non riusciamo più a pensare a mente fredda, a ricordarci che quella è una semplice bottiglietta contenente un intruglio scuro e zuccherato, e nemmeno tanto salutare: tutto questo viene oscurato nella nostra percezione immaginaria dalla forza delle emozioni positive che da sempre vengono accomunate e traslate sul prodotto stesso.
   Possiamo così dire di essere vittime di un riflesso pavloviano inverso, squisitamente giocato sul piano emozionale: non sarà più la semplice sete a farci cercare un prodotto dissetante qualunque, ma sarà quella specifica presentazione pubblicitaria, quello specifico marchio a generare in noi il desiderio di quel "pacchetto emozionale"; desiderio che poi, in un assurdo circolo vizioso, andrà a riversarsi nuovamente e ancora proprio su quello specifico prodotto e non su un altro, perché lo riterremo "uno di famiglia", qualcosa di già conosciuto, di buono, sicuro e affidabile; anzi, la "Bontà" per antonomasia, un qualcosa che ormai appartiene alla sfera celeste, al mondo delle idee e degli archetipi... il nuovo archetipo di moderna "bontà", chi si accontenterà quindi di un misero, sconosciuto, terreno prodotto concorrente?

VENDERE UN PENSIERO

   Come si ottiene quindi una trasformazione profonda della mente e dei comportamenti delle persone comuni?

   Con una martellante propaganda, condotta nello stesso modo visto sopra, ma stavolta non tramite un semplice spot commerciale, ma con una continua SOSTITUZIONE EMOTIVA di valori, idee, archetipi applicata su vasta scala, che coinvolga gli atteggiamenti mentali e le opinioni più radicate della gente verso questa o quell'idea, con l'intenzione prima di demolire quanto l'opinione generale ritiene "giusto e desiderabile", per poi sostituirlo con quanto mi farà comodo.

   Insomma, è la stessa operazione vista a proposito di un prodotto, ma mediaticamente  condotto ora su "icone comportamentali", su atteggiamenti mentali e orientamenti di pensiero, perpetrata su vasta scala ed in modo subdolo, in modo da essere quasi impercettibile da chi la subisce. E qui si sfrutta quasi sempre il bisogno di "conformarsi" dell'individuo, la sua innata tendenza a seguire la maggioranza, a sentirsi parte di un gruppo, a vedere condiviso il suo pensiero, ad identificarsi totalmente in qualcosa, che sia la squadra di calcio, il gruppo di bocce, Dio come il Bar Sport, o la Patria come l'aperitivo con gli amici... "toglietemi tutto ma non il mio Breil", appunto.

   Si farà quindi leva sul bisogno di appartenenza e sulla sostanziale "angoscia di separazione", sul bisogno di avere uno schema di orientamento condiviso, sul bisogno di porsi in efficace relazione con gli altri, insomma proprio su quelle 5 "esigenze inalienabili" postulate da Fromm per uno sviluppo umano e sociale armonico, già accennate nel capitolo 2, ma esattamente come succede con Babbo Natale, si farà leva su queste emozioni e bisogni solo per distoglierli dalla loro "Idea generante", dal loro "archetipo" e riconvogliarli verso altro, probabilmente verso fini commercialmente o socialmente sfruttabili, fino a farvi accettare assurdità simili sul piano sociale come l'assurdità della Santa Coca di Babbo Natale.

   Un classico esempio dimostrativo di tutto ciò è stato il modo in cui Edward Bernays raddoppiò le vendite di tabacco inducendo le donne a fumare: si cavalcò il desiderio di emancipazione femminile (ossia il bisogno fondamentale di "porsi in efficace relazione con gli altri" in una società che effettivamente allora emarginava la donna) stornandolo sul semplice consumo di sigarette.

   L'idea da vendere (indotta tramite una manifestazione organizzata  in cui uno stuolo di donne "emancipate" fumava sfrontatamente in pubblico), era che "chi si riteneva emancipata e indipendente non poteva non fumare", come è facile fregare gli esseri umani!
   (Ed è un po' quello che è successo con queste "Rivoluzioni Colorate", dove si sfruttò "commercialmente" una legittima aspirazione deviandola verso l'acquisto di un prodotto preconfezionato).
   Il denominatore comune di ogni operazione di propaganda quindi, come abbiamo visto, è di far leva proprio sulla nostra parte migliore, sulle nostre più alte aspirazioni, sulle potenzialità più tipicamente umane, sugli intenti più nobili, ma solo per ricondurli ad obiettivi molto più bassi, prosaici e interessati, quando non addirittura a realizzarsi verso il loro esatto contrario.
   (Come diretto corollario avremo che un'operazione di propaganda avrà tanto più successo quanto meno saranno socialmente soddisfatte le necessità su cui si andrà a far leva).

   E così oggi ci troviamo la Guerra Democratica, l'Economia del Debito, la Libera Schiavitù... tutti ossimori, tutti strampalati prodotti sociali venduti a soddisfazione dei nostri inalienabili bisogni astutamente direzionati verso altra direzione dal loro naturale soddisfacimento, senza che quasi riusciamo ad accorgersene.

   QUASI, appunto... l'insistenza, la ripetizione, la riproposizione de medesimi contenuti serva sempre a metterci in guardia, perché è una delle dinamiche che più indicano che ci troviamo di fronte a propaganda. Inoltre, come abbiamo già detto, capire queste dinamiche (che sono le stesse di uno spot o di una pubblicità) ce ne renderà automaticamente immuni, portandoci a fiutare qualsiasi forma di propaganda a chilometri di distanza.

   Pubblicità e Propaganda sono due facce della stessa medaglia: la vendita di un'idea. Ma se la prima agisce in modo quasi innocuo, in quanto limitata a prodotti di poco conto, la seconda è potenzialmente molto più pericolosa proprio per l'enormità e vastità del suo obiettivo e campo d'azione, che coinvolge ampi settori sociali, orienta il pensiero di ampie masse verso comportamenti fortemente rilevanti per la loro vita, sostituendosi di fatto alla libera scelta e al libero arbitrio.
   La Propaganda è, proprio per questo, esattamente come un'arma, come una bomba: in una società "civile" non avrebbe motivo di esistere.

   Ma una volta capita ne saremo liberi, e niente e nessuno potrà condizionarci a nostra insaputa: saremo pienamente padroni del nostro libero arbitrio e di capire, accettare o rifiutare in modo razionale e cosciente quanto ci viene proposto con l'inganno emozionale.
   Di più: potremmo usarla come boomerang per reindirizzare le cose verso direzioni più sinceramente umane.