venerdì 30 ottobre 2015

Uomini e Topi

Di Gianluca Freda (Blogghete!)



   Negli anni della nostra infanzia felice era bello rintontirci coi fumetti di Topolino. Ci perdevamo giocosi nel turbine di avventure della meditabonda pantegana disneyana. Viaggiavamo con la fantasia in una dimensione rarefatta, in cui la complessità delle relazioni umane e delle categorie morali era stata riscritta e ridotta ai suoi connotati elementari.
   Camminavamo leggeri per le strade di Topolinia, colorata città popolata da pantegane, mucche, cavalli, cani e bestie plurime dotate di parola, raziocinio e sentimenti umani, dalla quale gli uomini erano stati cancellati. Si individuavano, a monte della narrazione fanciullesca, i segni di una mostruosa operazione di pulizia etnica anti umana che il commissario Basettoni aveva ricevuto l'ordine di passare sotto silenzio. Ma non c'importava. Le pantegane di Topolinia erano così ridenti, spensierate, variopinte. Così diverse da noi, ma animate da principi etici robusti e riconoscibili, dall'antica e vivida dicotomia bene-male dei crociati, che non esitavamo a riconoscere come nostra. La loro superiorità morale, culturale e perfino tecnologica appariva lampante. Spennacchiotto e il dottor Enigm si beffavano con risate tenorili dell'arretratezza neanderthaliana delle nostre industrie petrolchimiche, siderurgiche e metallurgiche.

   Questi ratti festanti erano l'homo superior. Ci saremmo offerti con gioia ai loro rastrellamenti, saremmo discesi con letizia nelle loro allegre fosse comuni, avremmo salutato con riconoscenza i loro bombardamenti umanitari, straripanti di BOOM! e BANG! sui nostri quartieri. In buona parte lo abbiamo fatto davvero. I bambini della scuola di Gorla a Milano, la mattina del 20 ottobre 1944, esplosero dalla felicità quando Topolino e Pippo arrivarono dal cielo a fare giustizia di loro. Erano i loro liberatori. Prima di essere ridotti in frattaglie, avrebbero voluto chiacchierare un po' con i propri beniamini, domandargli della loro città piena di colori, invitarli a fare colazione con latte e biscotti nel tinello della loro casetta a ringhiera.

   Se ci pensate bene, invitare una pantegana nera alta circa un metro a bere il latte del mattino con voi non è esattamente un'idea felice. E' una cosa schifosa e perversa. Chi riuscirebbe a ingurgitare anche un solo boccone avendo di fronte un gigantesco ratto di fogna in calzoncini vermigli, che disquisisce di frivolezze con una vocetta stridula? Eppure immenso è il potere della riconversione mediatica dell'immaginario. Prima che arrivassero le pantegane topoliniensi, i bambini italiani sognavano di essere poliziotti (Dick Fulmine), eroi della guerra civile spagnola (Romano il Legionario), avventurieri dello spazio (Saturno contro la Terra), "indiani bianchi" del West (il "Kit Carson" di Rino Albertalli). Ci vollero anni di propaganda pervasiva per condurli a desiderare di essere pantegane. Anche in questo è possibile notare la superiorità psico-propagandistica dei servizi d'intelligence di Topolinia. Essi prendono tutto ciò che è rivoltante, anti umano, sgradevole, degradante, insopportabile e lo rendono fragrante e desiderabile come una torta di mele di Clarabella. Le pantegane invaderanno il vostro tinello, occuperanno la vostra casa, berranno nella vostra ciotola e voi non soltanto non telefonerete inorriditi al servizio di disinfestazione, ma le accoglierete con un sorriso, come si fa con gli ospiti di riguardo.

   L'invasione di questi putridi roditori pone, tra le altre cose, alcuni gravi problemi di carattere sanitario. Essi sono portatori di malattie gravi, tra cui la leptospirosi, la salmonella, la toxocariasi e la democrazia. Quest'ultima patologia, nello specifico, presenta un carattere epidemico particolarmente virulento. Le ultime manifestazioni epidemiche di democrazia, in Iraq e Afghanistan (e Libia ndr), hanno già provocato milioni di vittime. Ma anche in questo caso, gli apparati di propaganda topoliniensi si sono fatti in quattro per presentare l'affezione di questo morbo devastante come una condizione fisica privilegiata e altamente desiderabile. Essenzialmente, la patologia democratica attacca la gerarchia del merito e delle funzioni istituzionali all'interno di una nazione. Essa pone perentoriamente sullo stesso piano intellettuale, con apposita assemblea costituente, i meritevoli e i cialtroni, i saggi e gli scimuniti, gli eruditi e le comari. In democrazia, un imbecille non dice imbecillità, ma esprime legittime, sebbene non sempre autorevoli, opinioni, e per tutelare il suo diritto a blaterare a caso su questioni importanti, ogni cittadino democratico deve dirsi disposto ad offrire volontariamente la vita. Nella sua forma terminale, la democrazia consente l'accesso alla alte cariche dello Stato e agli incarichi pubblici di rilievo ai soli incapaci e analfabeti conclamati, considerandoli categorie protette anziché manodopera mineraria o (nel caso di babbei di sesso femminile) utili strumenti di espansione demografica. Ciò distrugge alla radice la solidità economica, politica e militare del paese, ne mina la governabilità, lo disintegra in miriadi di correnti politiche arroccate nell'attuazione di finalità demenziali, consentendo alle pantegane di prendere il controllo. E' per questo che le pantegane in calzoncini rossi decantano incessantemente le virtù della democrazia, esattamente come le brigate dei lanzichenecchi consideravano la peste di cui erano portatori un valore aggiunto e una manifestazione incontrovertibile della predilezione divina. In questa prava esaltazione ed unzione del morbo orrendo, esse trovano facile terreno di coltura nella massa, ampiamente maggioritaria, di minus habentes la quale, immemore della propria salute, inneggia apostolicamente alle virtù egualitarie della pestilenza, fino a morirne anch'essa in atroce supplizio, con le carni annerite dalle pustole livide della vanvera inconcludente.

   Tra le operazioni psicologiche d'abbellimento della prosaica realtà attuate dall'intelligence di Topolinia, spicca la divinizzazione della categoria dei "diritti umani". Nessuno ha ancora ben compreso che razza di roba siano questi feticci, ma si sa che Eta Beta, di tanto in tanto, ne tira fuori un paio dall'inesauribile taschino per lanciarli a Flip o per soffiarcisi il naso. Essi attengono alla sfera della filosofia politica, cioè dell'astrazione e della fantasticheria farfallesca, che è l'habitat naturale delle nostre ridenti pantegane a fumetti. Diritto alla libertà individuale, diritto alla vita, diritto all'autodeterminazione, diritto a un giusto processo, diritto ad un'esistenza dignitosa... concetti sopraffini, di cui il Prof. Pico de'Paperis disquisisce spesso nei suoi dotti interventi, ricevendo il consenso unanime e l'apprezzamento incondizionato dell'intera cittadinanza. Vi sono però alcune regole che occorre rispettare scrupolosamente se non si vuole che le pantegane s'incazzino sul serio. La prima è quella di non pretendere mai diritti di cui gli umani possano usufruire in concreto, come ad esempio il diritto ad un'abitazione gratuita, il diritto ad un lavoro e ad un salario decoroso, il diritto ad intervenire direttamente nelle scelte del governo, il diritto ad un'assistenza sanitaria gratuita e di buon livello, il diritto a non essere intercettati e spiati dalle autorità, il diritto a non veder tassati i propri redditi oltre il limite di sopravvivenza, il diritto a non vedersi sottrarre le risorse essenziali come l'acqua e il cibo dagli intrallazzi delle multinazionali, etc. tutto ciò che è concreto ed umano fa imbestialire i simpatici ratti con gli scarponi gialli. Non si rovina un sogno disneyano con rivendicazioni di squallida materialità. Tanto più che i diritti astratti sono stati ideati appunto con lo scopo di sostituire le rivendicazioni di diritti materiali con un loro simulacro virtuale. I roditori a fumetti odiano che la realtà interferisca con la vita quotidiana dei membri delle loro colonie. La realtà è un luogo molto pericoloso per una pantegana disegnata.

   La seconda regola da rispettare è quella di non chiedere mai alle pantegane di attenersi, esse per prime, ai dettami delle proprie astrazioni filosofiche. I "diritti umani" sono una creazione delle autorità topoliniensi, sono loro a detenerne il copyright, soltanto loro sono legittimate ad utilizzarli come unità di misura della moralità altrui. Guai ad applicarli contro i loro stessi ideatori. Si tratterebbe di una violazione di copyright, che le leggi di Topolinia puniscono con estrema severità. Si astengano dunque le popolazioni dell'Iraq, dell'Afghanistan, del Vietnam, della Corea, nonché i pochi sopravvissuti alla strage di Waco del 1993 (le squadre speciali di Basettoni fecero all'epoca 76 morti ammazzati, tra cui 21 bambini e 2 donne incinte) dal rinfacciare ai ratti festanti la loro incoerenza. Le popolazioni umane non ricevono tutela dalla legislazione di Topolinia, a meno che non accettino di farsi ridurre a pupazzetti disegnati, a parlare coi baloon e a farsi pubblicare su albetti da 32 pagine a 4 colori. Alcune popolazioni hanno comunque intrapreso questo difficile percorso di legalizzazione: i divertenti eroi della "rivoluzione in Libia"( l'articolo è stato scritto il 9 marzo 2011, ndr), ad esempio, compariranno presto in una nuova serie di cartoni animati e saranno coprotagonisti del nuovo lungometraggio di Winnie the Pooh.

   L'orda dei topi ghignanti riveste di fattezze vezzose le proprie ruvide pellicce nerastre, squittisce con voce di bambino mentre si appresta a dilaniare gli spettatori estasiati. Le pestilenze che porta con sé sono ricercate, contese, ogni singolo virus s'infiocchetta di nastri sgargianti e si tinge di arcobaleno mentre invade mortalmente il corpo ospite. Ho sentito con le mie orecchie, alla TV, un "guerrigliero" libico similtalebano, con lunga e crespa barbaccia nera, dichiarare ad un giornalista: "Tutto ciò che vogliamo è poter vivere anche noi come gli occidentali". E' il sogno disneyano che unifica l'umanità intera in un ricettacolo virale cosmico, il desiderio di tornare bambini che accoglie con tripudio ogni orrore tinto d'innocenza. Anche in Libia gli uomini di buona volontà non desiderano altro che ricevere nel proprio tinello i topi giocosi, parlare con loro dell'infanzia perduta, dividere con loro latte e biscotti mentre tra le imposte splendono i raggi di un'alba serena.

   I topi, di certo, non si fanno pregare.

      

mercoledì 28 ottobre 2015

Attacco al Potere: un altro film "proclama"?

   Come già visto parlando di "Sesso e Potere", ecco un altro caso di film non solo di chiara propaganda, ma i cui eventi, la concatenazione dei fatti, i personaggi presentati contribuiscono a formare la netta impressione che lavori del genere siano commissionati ad Hollywood direttamente dai poteri forti, allo scopo più o meno nascosto di usarli come "manifesto programmatico", come una dichiarazione d'intenti di quelle che saranno le future strategie che dagli stessi verranno messe in atto. Anzi, guardando con "senno di poi" (il film esce nel 1998), è difficile non pensare al film come un mezzo di comunicazione tra poteri, una "ipotesi di progetto" da discutere e sviluppare tra gli addetti ai lavori, e al tempo stesso come un forte e chiaro messaggio intimidatorio rivolto verso potenze nemiche e il mondo arabo in particolare (ecco cosa potremmo arrivare a fare!).
   Insomma un altro caso in cui le coincidenze sono tali e tante (viene addirittura preconizzata la figura stessa di Osama Bin Laden, simile sia nell'aspetto che nel nome!) da far dubitare fortemente in una semplice casualità.

   Chiarissima, invece, la propaganda atta a "rifare la faccia" alla nazione ripulendone l'immagine da varie macchie e scandali (il film richiama anche nel titolo originale "The Siege" una precedente opera di Costa Gravas "Etat de Siege", nota anche come "L'Amerikano", in cui si denuncia l'attività di tortura pianificata messa in atto in America Latina dal funzionario della CIA Dan Mitrione, figura qui subliminalmente richiamata e riabilitata da Bruce Willis tramite il solito espediente dell'"eccesso di zelo personale", eccesso ovviamente perseguito e punito dal potere ufficiale impersonato nella figura di Denzel Washington). Un'immagine nazionale che andava insomma ripulita e riproposta positivamente all'opinione pubblica soprattutto in vista di quello che gli USA si preparavano a fare nel mondo, giustificandolo con la classica motivazione della lotta al terrorismo.
   Molteplici e interconnessi i vari livelli di lettura, ben sviscerati nella loro funzione di propaganda dall'analisi di John Kleeves.


Recensione del film a cura di J. Kleeves

UNA AGENZIA FEDERALE CHIAMATA HOLLYWOOD
   Solita premessa. Hollywood dipende dalla grande e semi segreta Agenzia federale USIA (United States Information Agency, 30.000 dipendenti), operativa sin dal 1° agosto 1953 per lo scopo dichiarato, e ciò scritto nel suo atto costitutivo, di creare nel pubblico internazionale una certa voluta e falsa immagine degli Stati Uniti. In poche parole l'USIA è il Ministero della Propaganda americano. La necessità era - ed è - di occultare la reale natura dell'entità americana per poter condurre impunemente una politica estera micidiale: gli USA infatti non sono una democrazia, ma una dittatura dell'imprenditorato che ha per obiettivo lo sfruttamento materiale e umano dell'intero mondo.
   Hollywood, come del resto le altre entità aziendali americane del settore dei media (reti TV, case editrici e discografiche, etc.), deve essere sia autoremunerativa che soddisfare le esigenze dell'USIA. Come minimo, nessun film deve contraddire la versione della medesima sulla realtà americana, versione consolidata in ciò che si chiama Retorica di Stato Americana (USA opulenti, democratici, libertari, buoni, etc. in breve gli USA della Retorica di Stato Americana sono esattamente quelli che voi vi figurate in mente). L'USIA può anche arrivare a far produrre film ex novo, perché ha bisogno di un contenitore per certi temi speciali che le premono, ma in genere approfitta delle occasioni che si presentano per far inserire i suoi messaggi di valenza propagandistica, o politica o culturale. I soggetti importanti di Hollywood, i VIP, collaborano alla sistemazione perché necessario per rimanere a galla, dopo che era stato necessario per emergere. I grandi attori e i grandi registi di Hollywood sono così dei Divi di Stato e dei Registi di Stato, perfettamente equiparabili a dei funzionari governativi, e dei G-men di rango abbastanza alto. Io dunque esamino i film di Hollywood per segnalare al pubblico gli elementi di propaganda internazionale fatti inserire dall'USIA.

LA TRAMA
   Attacco al Potere, visto il soggetto, è uno di quei film in cui l'USIA interviene maggiormente, se non è proprio lei a idearli dall'inizio. La trama si svolge nei nostri anni a Brooklin, una frazione della città di New York che conta sui due milioni di abitanti. Dalle foto incorniciate appese in uffici pubblici si vede che il presidente in carica è Bill Clinton. Ad un certo momento si attivano in successione quattro cellule di terroristi arabi, che compiono attentati suicidi: è sequestrato e fatto saltare un autobus carico di passeggeri; è fatto saltare un teatro pieno di gente, un furgone bomba irrompe ed esplode in un grande edificio. I morti a questo punto sono 900.
   Le indagini sono condotte sin dall'inizio dall'FBI (la polizia municipale di New York non compare), nella persona del funzionario Anthony Hubbard (Denzel Washington), che già era il "capo degli agenti speciali dell'FBI" del distretto di Brooklin. Partecipa anche, ma a titolo personale, l'agente della CIA Sharon Bridget (Annette Bening). Dopo il terzo attentato il Presidente (cioè Clinton) proclama la legge marziale a Brooklin.
   Arrivano così i soldati, comandati dal generale De Veraux (Bruce Willis), che compiono rastrellamenti di arabi e ne chiudono migliaia in campi sportivi dotati all'istante di recinzioni e catenacci. De Veraux tortura e uccide personalmente un arabo, ma sono Hubbard e la Bridget a risolvere la situazione individuando la quarta e ultima cellula terrorista, che era costituita dal solo giovane Shamir, che sino ad allora aveva finto di essere un confidente della polizia, un collaborazionista; nel conflitto a fuoco sia Shamir che la Bridget muoiono. Il film termine con Hubbard che arresta De Veraux per l'omicidio dell'arabo.

IL TERRORISMO ARABO SECONDO L'USIA
  1) Il film tratta di terrorismo arabo. Già questo, considerato l'intero contesto Hollywoodiano, è propaganda. Infatti Hollywood affronta l'argomento "terrorismo" in modo selettivo: sempre tratta il terrorismo altrui e mai quello americano. Storia e attualità offrono una profusione incredibile di atti terroristici made in USA.
   Solo quelli di Cuba dovrebbero bastare:
   Esplosione nel 1960 del mercantile francese Le Coubre ancorato all'Avana; invio nell'isola dal 1961 al 1963 di almeno sei team di killer professionisti presi in prestito da Cosa Nostra per uccidere Castro; attacchi di aerei privi di insegne a pescherecci e manifatture cubane protratti per tutti i Sessanta e i Settanta, e cioè per vent'anni di seguito; contaminazione con Photoxin dei sacchi di iuta per imballare lo zucchero cubano, per sabotarne l'esportazione; invio nel 1969 e nel 1970 di aerei che sparsero cristalli per provocare siccità in zone fertili e piogge torrenziali in zone desertiche; diffusione nel 1961 di un'epidemia negli allevamenti di tacchini dell'isola; diffusione nel 1971 di un'altra epidemia negli allevamenti di maiali; diffusione nel 1981 di una influenza perniciosa che colpì 300.000 persone, delle quali 158 morirono (101 bambini); sabotaggio con bomba del 7 ottobre 1973 del DC8 della Cubana Airlines in volo da Barbados all'Avana con 73 persone a bordo, tutte morte; attentati dinamitardi agli alberghi cubani nel 1977 per danneggiare il turismo, in uno dei quali trovò la morte il turista italiano Fabio di Celmo.
   E potremmo portare migliaia di altri casi simili accertati che hanno riguardato e riguardano i quattro angoli del mondo: gli Air Commandos e i Navy Seals sono corpi speciali dedicati statuariamente ad attentati terroristici, per non parlare dei circa 80.000 agenti in campo della CIA, e tutta questa gente è sempre in missione, a fare o preparare qualcosa contro qualcuno.
   Orbene, mai Hollywood ha preso spunto da uno di quei fatti per fare un film.
   Lo avesse fatto direi che sarebbero normali anche film sul terrorismo arabo, o nord irlandese, o che altro. Ma non lo ha fatto e allora tutti i film di Hollywood sul terrorismo altrui sono semplicemente propaganda, realizzati come sono non per trattare storie di terrorismo in sé ma per colpire selettivamente qualcuno.
   2) In ogni caso terrorismo arabo, e rivolto contro gli Stati Uniti. Come tratta Hollywood il fenomeno? Per valutare ciò dobbiamo sapere come stanno le cose. Le cose stanno come nessun telegiornale in Europa Occidentale dice ma come ognuno dentro di sé realizza: gli Stati Uniti opprimono obiettivamente gli arabi in generale e i palestinesi in particolare, questi e quelli operano le ritorsioni che possono.
   Non ci sono dubbi sull'oppressione. Gli USA sostengono i regimi arabi invisi alle popolazioni come in Egitto, Giordania, Arabia Saudita etc. perché gli permettono un conveniente uso del petrolio mediorientale, e tormentano regimi popolari come in Libia, Iran e Iraq non glielo permettono.
   L'Iran si è liberato solo nel 1979 della tremenda dittatura esercitata dagli USA tramite lo Scià, mentre gli stessi USA nel 1991 hanno guidato una coalizione che ha provocato 300.000 morti in Iraq. E 300.000 morti non sono una cosa da nulla. Come non lo erano stati del resto i 290 passeggeri dell'aereo di linea iraniano abbattuto intenzionalmente (a scopo intimidatorio) nel 1988 dall'incrociatore americano Vincennes.
   Inoltre c'è naturalmente la questione di Israele, che solo gli Stati Uniti tengono in vita, partecipando ogni tanto ai massacri. nel 1982 i cannoni da 400 mm della corazzata New Jersey aprirono il fuoco sui campi profughi palestinesi in Libano facendo migliaia di morti, le solite donne, i soliti bambini, eccetera. Neanche queste sono cose da nulla. I terroristi arabi che colpiscono gli Stati Uniti pensano dunque di avere motivi validi e concreti per le loro azioni. Non ho detto che li hanno; ho detto che sono convinti di averli. Il solo concorda con la natura umana: nessuno di dedica a tali cose senza essere convinto di avere motivi validi e concreti.
   Il governo statunitense sa benissimo tutto ciò, così come lo sa l'intero establishment dominante nel paese. Sono anzi i primi a saperlo. Ma non va detto. L'USIA ha così preparato la sua versione sull'argomento "Terrorismo arabo anti-americano e anti-israeliano".
   E' una versione semplice. i terroristi arabi sono giusto dei pazzi fanatici religiosi, che si danno da fare non per vendicare - sia pure dal loro punto di vista - concreti morti e concreto sangue ma solo perché odiano la civiltà Occidentale. La odiano perché percepiscono che tale civiltà, data la sua forza oggettiva, e destinata a disgregare il loro fasullo mondo islamico fatto di curiosi muezzin, di donne velate, di paradisi dove schiere di vergini urie attendono i giusti. In poche parole odiano il Progresso.
   Questi terroristi se la prendono specialmente con l'America non perché questa abbia fatto loro torti particolari, ma perché l'America è il simbolo dell'Occidente, la sua punta di diamante. Se la prendono anche con Israele non perché li ha spodestati dalla loro terra, torturati a migliaia e assassinati a decine di migliaia, ma perché è una testa di ponte dell'Occidente nel loro mondo.
   Si può verificare che tale versione è stata imposta in tutti i film di Hollywood che hanno trattato il soggetto del terrorismo arabo, e ricordo in particolare Delta Force (1986) di Menahem Golan, con Chuck Norris; Wanted, vivo o morto (1987) di Cary Sherman; Frantic (1988) di Roman Polansky con Harrison Ford; Navy Seals: pagati per morire (1990) di Lewis Teague con Charlie Sheen; True Lies (1994) di James Cameron con Arnold Schwarzenegger. La versione è stata IMPOSTA: i registi, gli sceneggiatori e i produttori di Hollywood sanno benissimo come stanno le cose, proprio come lo sa il più sprovveduto di noi, ma appunto c'è la supervisione e la censura finale dell'USIA.
   Non ci sono dubbi che la versione sia stata imposta anche per Attacco al Potere. Per tutto il film i giovani arabi sospettati e spiati dagli investigatori dell'FBI sono presentati come esagitati carichi di un odio che non si sa da dove provenga. Dobbiamo essere vigili e notare anche quello che non c'è ma che logicamente avrebbe potuto e dovuto esserci: un bel monologo di uno di quei terroristi, magari diretto alla sua ragazza come si fa normalmente nei film, dove spiega la sua versione della storia, le sue motivazioni. MANCA.
   Solo nel finale Shamir dice qualcosa in merito all'agente della CIA Bridget che si accinge ad uccidere. E cosa dice?
   Solo questo (è un monologo di 8 secondi): qualche farfugliamento isterico, sconclusionato, e poi dichiara la frase che preme al regista e a chi dietro di lui, e cioè l'accusa all'America di "voler insegnare agli altri come vivere". Questo sarebbe il motivo di tutto, l'unica colpa dell'America: essere troppo grande, troppo forte, troppo attraente. Essere il Progresso.
   Il regista ci mostra come Shamir prima di accingersi a compiere il suo attentato suicida e sanguinosissimo (ed inoltre perverso: vuole fare una strage nella folla che protesta contro gli internamenti per farne ricadere la colpa sul governo) pratichi abluzioni rituali islamiche e indossi un sudario: chiara indicazione per il pubblico della natura religiosa-culturale delle sue motivazioni. Il particolare del sudario è macabro, inserito per colpire il subconscio del pubblico e caricare di negatività questi attentatori.
   3) Gli arabi sono presentati come una razza inferiore. Ciò perché sia così sono ritenuti utili dagli americani, e sia perché utile per togliere valore a qualunque loro rivendicazione. Sono presentati esattamente come gli indiani nei famigerati western di Hollywood: cenciosi, velleitari e fanatici, portatori di una cultura in estinzione perché non all'altezza. Sono anche sporchissimi, evidentemente abituati a vivere sotto le tende: l'appartamento in cui sono sorpresi dall'FBI i tre membri della cellula N°3 non potrebbe essere più lercio. Si è trattato di una indicazione precisa data allo scenografo, per convogliare il messaggio per via subliminale. Per contro la regia ci fa sapere che i tre della cellula passavano il tempo a guardare la televisione, mangiare pizza e bere drinks: inveiscono contro l'America ma i suoi agi piacciono anche a loro. Come gli indiani, che ululavano ma ricercavano i buoni utensili e il buon whisky.
   4) Si è detto che il generale De Veraux tortura e uccide un arabo. Lo fa in un gabinetto, dove l'uomo è sistemato nudo su una sedia. La scelta del gabinetto - precisamente un orinatoio - non è casuale ed ha valenza subliminale: quello è il posto per tale gente. Fatto il lavoro De Veraux esce e si toglie i guanti: guanti di gomma, sanitari. Vedremo che c'è molto ma molto d'altro su questo episodio.
   5) Assai curato il personaggio di Faruk Haddad, detto Frank, il vice di Hubbard all'FBI. E' un arabo americano inserito nella vicenda ostensibilmente perché conosce arabi e lingua, ma in realtà per fargli ricoprire il ruolo dell'arabo buono, esattamente come nei western c'era sempre l'indiano buono, quello voglioso di integrazione e collaborazionista (indiano buono che poi, la Storia insegna, ha fatto la stessa fine degli altri; in effetti non erano indiani "buoni", erano indiani deficienti).
   Durante i rastrellamenti dell'esercito anche suo figlio viene internato, lui ha un momento di ripensamento (l'America lo ha tradito) e lascia l'FBI dopo quindici anni di servizio. Ma l'America gli piace troppo: può dare dei dispiaceri, creare delle incomprensioni, ma è sempre la società migliore e più avanzata del mondo. Così riprende il distintivo che gli porge Hubbard e torna con entusiasmo a combattere per il Bene.
   La regia ci suggerisce anche cosa piaccia in particolare a Frank dell'America: il fantastico sviluppo tecnologico (Frank adora i marchingegni elettronici e invidia il rilevatore a microonde in dotazione all'esercito; al contrario degli arabi cattivi e testoni lui il Progresso lo capisce, e quindi lo apprezza).
   6)Si parla nel film di un certo sceicco Ahmed Bin Talem, famigerato sponsor del terrorismo. Evidentemente voleva ricordare lo sceicco Osama Bin Laden, ora famosissimo perché accusato dagli USA dell'attentato dell'11 settembre 2001 e già allora indicato alla CIA come principale mandante degli attacchi terroristici antiamericani, e cioè come Mostro Internazionale N°1. Citare Ahmed Bin Talem era un elemento di propaganda perché il film non solo sosteneva intenzionalmente le accuse della CIA, già una presa di posizione, ma anche voleva fare ciò senza parere, in modo nascosto, subliminale (il nome Bin Talem invece di Bin Laden).

ALTRA PROPAGANDA
   7) Il paese sembra impreparato agli attentati terroristici. Questi non mobilitano una burocrazia poliziesca precisa, che sembra non esistere: le indagini rimangono nelle mani del funzionario FBI del quartiere; non arrivano personaggi con ogni tipo di divisa e di qualifica, ognuno dei quali sappia perfettamente cosa fare. Evidentemente è impreparato perché tali attentati qui sono rari, trattandosi di un Paese così in armonia con sé stesso e col mondo. Invece questo non è il paese dell'armonia: ogni anno si verificano mediamente 150 attentati terroristici, solo i più clamorosi dei quali giungono ad avere un'eco all'estero (come gli attentati alle Twin Towers di New York del 1993, di Oklahoma City del 1995 che provocò 169 morti, di Atlanta durante le Olimpiadi del 1996, per non parlare di quello epocale dell'11 settembre 2001 che ha raso al suolo le medesime Twin Towers facendo 2.700 morti; Theodore Kaczinski, Unabomber, prima di essere arrestato nel 1996 aveva compiuto 16 attentati), ed una burocrazia in merito non solo esiste ma è anche elefantiaca. Altro che funzionario di quartiere del FBI.
   8) Agli Stati Uniti fa comodo fare credere che i loro Presidenti comandino. Così allontanano la cognizione del loro vero sistema politico, che è una dittatura dell'imprenditoriato esercitata collegialmente tramite il Congresso, e possono eventualmente incolpare un singolo uomo per i misfatti di una categoria. E' così una legge dell'USIA per Hollywood che i Presidenti siano presentati come ammantati di potenza suprema. Attacco al Potere non è eccezione, e l'unica entità pubblica che interviene al di sopra del funzionario Hubbard saltando ogni grado intermedio che, come appena detto, sembra non esistere è il Presidente, che ordina la legge marziale per Brooklyn.
   9) C'è un omaggio subliminale al becero senatore Jesse Helms, noto per la sua spietatezza all'interno contro i dissidenti politici, che fa finta di credere "comunisti" o "nazisti", e all'estero contro i paesi che non piegano il collo, che fa finta di credere "nazisti" o "comunisti": c'è una riunione di alti papaveri e un senatore, che prende la parola e gode di qualche inquadratura, è impersonato da un attore che assomiglia a Helms. Vecchio trucco: in Furore John Ford aveva fatto impersonare il direttore di un ostello per poveri a una comparsa che somigliava al presidente Delano Roosevelt.
   10) Gli Stati Uniti vogliono propagandare un'immagine di società multirazziale in armonia, dove tutti hanno pari opportunità e partecipano con pari entusiasmo alla vita civile, orgogliosi di far parte di una tale Great Society. E' ciò che ci si aspetta da un paese multirazziale e democratico. Balle naturalmente.
   Stiamo parlando di una Nazione che è stata schiavista sino al 1865 (sino a ieri, cioè); che ha dato nominalmente diritto di voto a tutti solo nel 1964 (un'ora fa, praticamente); che in questo preciso istante esclude ogni minoranza riconoscibile da qualunque posizione di potere effettivo, sia politico che economico; ed il cui gruppo dominante WASP (White Anglo Saxon Protestant) si crede il popolo eletto.
   Così come nei film di guerra di Hollywood i reparti presentano una composizione etnica che riflette rigorosamente la percentuale nella popolazione (tot anglosassoni, tot caucasici, tot neri, e se c'è posto un ispanico, un giallo, un ebreo, quant'altro), allo stesso modo si presenta in Attacco al Potere la sezione dell'FBI di Brooklyn comandata da Hubbard, arricchita per l'occasione dall'arabo Faruk-Frank (il film La sottile linea rossa fa eccezione, perché i soldati sono tutti bianchi; ma c'è un motivo, per il quale rimando alla mia analisi del film pubblicata su questo stesso giornale).
   Si fa di più in questo film: l'attore Denzel Washington è infatti un nero. E' lui, un nero, il protagonista del film; la parte di Bruce Willis è del tutto secondaria. Come ognuno sa è una rarità per Hollywood concedere la parte di protagonista a un nero. Perché non rende al botteghino. Le cose sono andate presumibilmente nel seguente modo.
   Si tratta di un film altamente politico, la cui stesura è caduta completamente nelle mani dell'USIA, se come già detto non è stata lei ad avviarlo. Questa voleva presentare il Paese nel modo più innocuo possibile, vittima innocente di un malvagio e ingiustificato terrorismo arabo. Cosa di meglio che affidare la parte del capo investigatore americano a un nero?
   E' come dire: I neri stessi ci amano al punto di combattere in nostra difesa, tanto li rispettiamo e siamo delicati con loro; che motivi possono mai avere gli arabi per odiarci? La scelta avrebbe però comportato sacrifici al botteghino per la 20th Century Fox e allora il Divo di Stato Bruce Willis accettò una particina per fornire un nome nei manifesti. O più probabilmente dovette accettare, perché si trattava di una comparsata davvero poco attraente: come vedremo De Veraux-Willis è utilizzato per riabilitare un mostro.
   11) Hubbard trova modo in un rapido scambio di battute di dirci cosa è l'FBI: lo scopo dell'FBI, dice, è "opporsi al crimine". Non è vero. L'FBI - Federal Bureau of Investigations - è la polizia politica americana e il suo scopo è di controllare e reprimere il dissenso politico interno. Fu l'FBI a condurre tutte le grandi repressioni americane del Novecento: la Red Scare del 1920-22; la neutralizzazione del movimento sindacale del 1945-47; l'Era McCarthy del 1950-60; la soppressione del movimento per i diritti civili dei neri e delle Pantere Nere del 1964-72.
   12) L'FBI represse il movimento delle Pantere Nere nel seguente modo: i suoi anonimi agenti tendevano agguati in strada ai leader del movimento e li uccidevano. Gli agguati dell'FBI avvenivano spesso all'uscita di bar, di notte. Con questo sistema furono eliminate alcune decine di persone. Bobby Seale, scampato ai sicari dell'FBI ma tenuto in carcere sino al 1997 con pretesti, appena uscito ha rilasciato una intervista, diffusa anche da Rete 2, dove ha confermato quelle procedure. Ebbene il film contiene una scena designata specificatamente a riabilitare l'operato dell'FBI del periodo: la cattura da parte della squadra di Hubbard di un sospetto terrorista, che avviene all'uscita di un bar, di notte. La scena ricorda gli agguati omicidi di allora ma li colloca adesso in un contesto positivo. Ciò ha valenza subliminale: il subconscio dello spettatore (soprattutto americano) conclude che anche gli agguati di allora erano a fin di bene.
   13) Diversi elementi di propaganda riguardano la CIA. C'è un suo agente nel film, ed è una donna, e di aspetto dolce e fragile; morendo cerca di recitare il Padre Nostro, aiutata da Hubbard. Ci sono agenti della CIA donne e con un dolce aspetto, ma visto il tipo di film si è certamente trattato di una scelta precisa, allo scopo di porre in buona luce l'Agenzia.
   Invece il fatto che la medesima reciti il Padre Nostro è una invenzione propagandistica completa: gli agenti della CIA - specie quelli operativi sul campo - non sono tipi da preghiere, per quanto delicato sia il loro aspetto; sono dei mercenari, dei veri assassini di professione, e senza dubbio ciò vale anche per gli agenti donna. Quindi Hubbard - da funzionario dell'FBI ligio alla legge come sono certamente tutti i funzionari dell'FBI, non è vero? - vuole arrestarla perché per legge la CIA non può operare sul territorio nazionale statunitense.
   E' vero che è così per legge, ma è altrettanto vero che all'atto pratico la legge è ignorata, come tutti sanno negli Stati Uniti, compreso Edward Zwick. Potrei fare decine di esempi a supporto, non ultimo l'assassinio dell'ex ambasciatore cileno Orlando Letelier compiuto nel 1973 a Washington - la capitale, sita ben all'interno del territorio degli Stati Uniti - da un team di agenti della CIA guidato dal funzionario della stessa Orlando Bosch (un collega della nostra dolce Sharon Bridget).
   Ricordo solo che le Pentagon Papers nel 1972 rivelarono che la CIA stava spiando negli Stati Uniti circa 200.000 cittadini, mentre 400 suoi agenti erano infiltrati nei media nazionali. Oggi come oggi non ci sono Pentagon Papers che facciano rivelazioni ma non è impensabile immaginare che i cittadini spiati siano 400.000 e gli infiltrati nei media 800. E nel film Hubbard vuole arrestare la Bridget. Questa è ancora più grossa di quella dell'agente della CIA che recita il Pater Noster.
   14) Un grande cavallo di battaglia della propaganda di Stato americana  è il seguente: i misfatti ed efferatezze varie compiute dagli Stati Uniti all'estero sono sempre dovuti all'eccesso zelo personale di singoli militari, agenti o funzionari, o alla loro sempre personale crudeltà o corruzione.
   Mai, come ovviamente invece è, i medesimi misfatti ed efferatezze sono il risultato di una volontà cosciente del governo americano. Così quando il funzionario CIA Dan Mitrione alla fine dei Sessanta organizzava gli Squadroni della Morte in Uruguay e istruiva i poliziotti locali nelle tecniche di tortura tenendo corsi di addestramento in una cantina della sua villetta di Montevideo dove martoriava personalmente fino alla morte delle persone innocenti, ebbene tutto ciò lui non lo faceva eseguendo gli ordini del superiore e del superiore del superiore così via fino al Congresso; no, per carità, lui lo faceva per eccesso di zelo personale anticomunista, unito forse a un certo sadismo congenito (altrettanto sadicamente Mitrione fu poi rapito e giustiziato dai Tupamaros).
   Così per i 16.500 oppositori politici sud vietnamiti torturati e uccisi dalla CIA con la collaborazione della polizia locale nell'ambito del programma Phoenix voluto da John F. Kennedy: eccesso di zelo dei funzionari CIA sul posto. Quando le Pentagon Papers rivelarono che erano aerei della CIA e del Pentagono che esportavano alle Hawaii l'eroina del Triangolo d'Oro, eroina che da là andava in tutto il mondo coi proventi di ritorno che finivano in banche della Florida, la commissione d'inchiesta senatoriale concluse: alcuni funzionari della CIA e alcuni generali del Pentagono corrotti. Al solito si potrebbero fare decine e decine di esempi.
   Il generale De Veraux-Bruce Willis è appunto uno di questi personaggi cari alla propaganda dell'USIA. Un funzionario statale - nel caso un generale operativo dell'esercito - troppo compreso del proprio ruolo, che per eccesso di zelo nel difendere quella cosa grande, buona, irripetibile che è la sua Patria, l'America, travalica gli ordini (sempre troppo moderati, inadeguati a quel mondo cattivo che c'è là fuori) sino a infrangere la legge, sino a compiere crimini aborriti dalla sua stessa America.
   Ecco - ci dice il film - sono tipi del genere che hanno creato gli Squadroni della Morte in America Latina; che hanno fatto mitragliare da elicotteri i raccoglitori di banane guatemaltechi in sciopero contro la United Fruits; che hanno fatto torturare a morte 16.500 oppositori politici sud vietnamiti; che hanno eseguito la strage di My Lai; che hanno fatto bombardare ospedali in Corea, Vietnam e Iraq; che hanno fatto 4 milioni di morti in Corea e 6 milioni di morti in Vietnam; che hanno fatto bombardare i campi di palestinesi in Libano; che hanno... che hanno... che hanno.
   Chi ha fatto tutto ciò è sempre stato il governo americano, sapendo ciò che faceva, e il regista del nostro film in merito non fa che fare propaganda, quella che gli impone lo stesso governo. La scena finale riassume la versione dell'USIA: Hubbard rinfaccia a De Veraux il suo comportamento illegale e lo sfida ad ordinare ai suoi soldati di ucciderlo; De Veraux, pure perverso, non vuole spingersi a tanto (Hubbard in quel momento rappresenta la Vera America, che lui rispetta) e si fa arrestare per l'omicidio dell'arabo.

CHI SI RIVEDE, DAN MITRIONE
   15) Ed ecco la parte per cui dovremo sempre ricordare Bruce Willis, se non come attore almeno come uomo. L'episodio in cui De Veraux tortura l'arabo nel gabinetto vuole premeditatamente rievocare le torture eseguite da Dan Mitrione nella sua cantina di Montevideo, che lui aveva fatto attrezzare come un orinatoio - con rubinetti, scarichi a terra e piastrelle alle pareti - per gli schizzi di sangue delle vittime e le altre perdite corporali.
    E' lui il mostro che Willis riabilita. La già buona (e non casualmente) somiglianza fisica di Willis con il fu Mitrione, un uomo di 50 di origini italiane, stempiato, è esaltata aumentando con ritocchi la sporgenza del naso dell'attore. Al tempo sui giornali comparvero foto di Mitrione in divisa (prima di entrare nella CIA era stato il capo della polizia municipale di Richmond, Indiana), e anche De Veraux è in divisa. Il messaggio subliminale per il pubblico è che Dan Mitrione era giusto un elemento come De Veraux e che le sue vittime erano dopotutto dei terroristi.
   Invece Mitrione obbediva agli ordini dei superiori nel quadro del Public Safety Program varato dal Congresso per l'America Latina e le sue vittime erano accattoni e accattone fatti rapire a caso nelle strade di Montevideo. L'episodio costituisce dunque una riabilitazione surrettizia di Dan Mitrione, la cui vicenda al tempo fece molto e negativo clamore per gli USA.
   Una operazione analoga a quanto fatto nel film Forrest Gump con l'attrice scomparsa Jean Seberg, anche se in scala assai ridotta e all'incontrario: Mitrione è riabilitato mentre la Seberg è diffamata. Bravo Willis. Il pubblico italiano potrà dire di non aver mai sentito nominare Dan Mitrione. Ma Hollywood-USIA non produce solo per l'Italia; produce per il mondo e ci sono paesi dove l'episodio ha lasciato lunghi strascichi nella memoria. Negli stessi USA ad esempio, dove ai funerali di Mitrione a Richmond parteciparono Frank Sinatra e Jerry Lewis, o in Francia, che produsse un film sulla vicenda: Etat de Siege (L'amerikano, 1973) di Costantin Costa Gravas, con Yves Montand e Renato Salvatori.

ANCORA PROPAGANDA
   16) Invece il fatto che De Veraux fa rastrellare gli arabi di Brooklyn e li fa rinchiudere in campi sportivi attrezzati con recinzioni vuole rievocare il colpo di Stato in Cile del 1973, quando come tutti ricordano i sospetti oppositori furono rinchiusi negli stadi a decine di migliaia. E' una riabilitazione perché suggerisce che anche in quell'occasione ci fosse qualche valido motivo. Non c'erano invece validi motivi: occorreva solo ribaltare un governo Allende che rendeva difficile alle Multinazionali statunitensi lo sfruttamento del Pese. Si sa tutto sulla vicenda: il colpo del '73 in Cile fu richiesto da 10 Multinazionali statunitensi operanti in loco, che poi contribuirono con fondi; fu deciso dal Congresso; fu approvato da Nixon; fu diretto da Kissinger; e fu fatto eseguire al generale Augusto Pinochet.
   Anche questo rivela dunque dei collegamenti con Etat de Siege, un film dedicato al sovvertimento violento statunitense dell'America Latina. In effetti questo film  è stato un riferimento importante per gli ideatori di Attacco al Potere: volevano anche riabilitare - dato che vi era l'occasione - i misfatti compiuti dagli Stati Uniti in America Latina ed un sistema ottimo era di richiamare surrettiziamente un film critico ma famoso sull'argomento e quindi di ribaltarne altrettanto surrettiziamente le tesi.
   E' un  po' complicato, ma tutta la propaganda americana è complicata, sofisticata, basata com'è su una scienza psicologica avanzatissima, e se ci si vuole difendere occorre essere all'altezza. Per quegli stessi ideatori il collegamento con Etat de Siege è stato così importante da condizionare il titolo stesso dell'opera, che in originale è The Siege, una parola che compare uguale, anche come pronuncia, nel titolo del film di Costa Gravas. Per il pubblico italiano l'aggancio è venuto a mancare, o per questioni di lingua o perché qui L'Amerikano non ha lasciato tracce (per forza: in questo Bel Paese tutto libertà e senza censura il film è stato ritirato subito dopo l'uscita nel 1973).
   17) De Veraux è dunque un generale dell'esercito e l'USIA non manca l'occasione di fargli dire qualche utile falsità in proposito. Gliene fa dire due. De Veraux dice testualmente che l'Army è "la più temibile macchina bellica della storia del mondo". Le forze armate di terra americane sono ben lungi da questo livello. Anzi sono sempre state di una debolezza stupefacente. Marina e Aviazione sono fortissime, ma l'Army è così. Per la dimostrazione di questa affermazione rimando al mio Sacrifici Umani (Edizioni Il Cerchio), dove è anche contenuta la spiegazione del fenomeno.
   Qui mi devo limitare a fare osservare che gli Stati Uniti hanno sempre perso o non vinto tutte le guerre che potevano risolversi solo con le forze di terra (Corea, Vietnam, anche Guerra del Golfo del 1991), pur avendo sempre goduto di una ampia superiorità sia numerica che naturalmente di mezzi (in Vietnam 51 divisioni contro 10 divisioni nord vietnamite e 120.000 guerriglieri). I vertici militari e politici americani lo sanno benissimo (sono i primi a saperlo) ma non vogliono certo che il mondo se ne accorga: nei conflitti evitano con varie scuse gli scontri di terra e fanno polverone con l'aviazione, e per il resto ci pensa l'USIA con la propaganda, tramite soprattutto Hollywood.
   La seconda falsità è la seguente. Sempre De Veraux dice che l'Army non è adatta per gli interventi di polizia, benché sia stata costretta a farne qualcuno "all'estero", "ad Haiti e in Somalia". E' una falsità doppia.
   Dal 1945 ad oggi gli Stati Unitii hanno compiuto circa 500 interventi armati all'estero, 218 documentati uno per uno dal 1945 al 1975; altro che "qualche intervento". Quindi questi interventi non sono certo a scopi di polizia: sono nell'ambito della politica neo coloniale statunitense nel mondo a favore delle loro Multinazionali.
   18) Il pericoloso generale americano si chiama De Veraux. Non si chiama Jones, Brown o Smith; si chiama De Veraux. Non è per caso e vuole suggerire per via subliminale che i funzionari americani che travalicando gli ordini fanno del male all'estero non sono veri americani; non sono WASP anglosassoni ma di altre etnie, nel caso francese. Anche Mitrione, ammicca infatti la regia, non era un WASP, perché di origini italiane. I WASP sono buoni.

ATTACCO ALLA VERITA'
   Così, passo dopo passo, inquadratura dopo inquadratura e senza che noi ce ne accorgiamo minimamente, il film ci propina un numero insospettabile di menzogne. E cioè:

  • che il terrorismo arabo antiamericano è un fatto religioso culturale;
  • che gli USA non hanno fatto torti agli arabi;
  • che gli arabi sono una razza inferiore;
  • che gli USA non sono abituati al terrorismo interno;
  • che gli USA sono una democrazia;
  • che il Presidente ha grande potere;
  • che l'FBI è una normale polizia civile;
  • che la CIA non opera nel territorio nazionale;
  • che gli agenti della CIA sono persone brave e anche religiose;
  • che il sen. Jesse Helms è un benintenzionato;
  • che negli USA c'è una perfetta integrazione e armonia razziale;
  • che le nefandezze americane nel mondo sono dovute ad iniziative di singoli;
  • che Dan Mitrione era giusto uno di questi singoli;
  • che questi singoli non sono normalmente dei WASP;
  • che il colpo di Stato in Cile aveva validi motivi;
  • che le forze di terra americane sono forti;
  • che gli interventi armati americani all'estero sono pochi;
  • che gli stessi sono motivati da esigenze di "polizia internazionale".
   Già notevole ma non basta. Come tutti i film di propaganda, oltre ai singoli e isolabili elementi di falsità appena visti, Attacco al Potere contiene infatti anche dei messaggi subliminali di sintesi, ottenuti convogliando tramite tanti particolari e dialoghi opportunamente strutturati e connessi delle impressioni generali agli spettatori. Nel caso i messaggi sono i seguenti:
   a) che l'America è oltremodo preoccupata e impreparata di fronte agli attacchi terroristici (che trova del tutto immotivati) e può reagire dissennatamente ricorrendo alle Forze Armate e a elementi come De Veraux, che poi fanno sfracelli e colpiscono anche gli innocenti, in patria e può capitare anche all'estero.
   b) che gli arabi americani si devono guardare dal coprire i terroristi arabi perché il governo potrebbe perdere la testa a tal punto da considerare nei loro confronti gli stessi provvedimenti presi a suo tempo con i giapponesi americani (internamento coatto). Non sarebbero quindi dei provvedimenti tipici di uno stato totalitario, ma dettati solo da isteria e inesperienza. Sono delle minacce al mondo, e agli arabi americani, convogliate tramite Hollywood.

DOPO L'11 SETTEMBRE 2001
   Tranne qualche aggiustamento per la sincronizzazione, l'analisi precedente risale al 1998, quando la scrissi per l'uscita del film in Italia. Ora siamo alla fine del 2001 e non possiamo non notare come quelle minacce dei messaggi di sintesi si siano realizzate nella vera pratica.
   C'è stato l'attacco alle Twin Towers e gli USA hanno reagito ricorrendo veramente alle Forze Armate e facendo veramente sfracelli all'estero: hanno addirittura portato la guerra ad un paese, l'Afghanistan, e sembra ne preparino altre contro la Somalia, il Sudan, l'Iraq e chissà quanti altri. Gli arabi americani non sono stati dimenticati: in base all'USA Patrioct Act introdotto dal governo americano il 13 novembre 2001 già 5.000 di loro sono stati convocati, questionati e debitamente intimoriti dalla polizia, mentre 1.200 sono stati arrestati arbitrariamente; tutta la comunità sa di essere una sorvegliata speciale, un altro passo e c'è il campo di concentramento, magari in Alaska dato che l'America non ha una Siberia.
   La precisione con cui il film ha anticipato una tale reazione in una tale evenienza - una reazione non scontata, non ovvia - lascia dei sospetti: captava forse questo film gli echi di strategie politiche che filtravano dalle stanze del potere, di scenari che si stavano preparando, compresi magari gli attentati? Non lo sappiamo; è un altro dei tanti dubbi lasciati dall'attentato dell'11 settembre.

domenica 18 ottobre 2015

Capire la propaganda: Babbo Natale e la Coca Cola

di Mond-Art

   "Il vero lavoro non è tanto nel costruire la lavatrice, quanto nel costruire chi dovrà comperarla".

   Dite la verità: anche a voi viene spontaneo mandare Marzullo a quel paese, quando esordisce chiedendo all'ospite di turno: "La vita è un sogno?"

   Eppure, vedendola nel contesto del discorso che stiamo facendo sull'Immaginario Collettivo, questa domanda non appare poi così strampalata... in effetti quella che chiamiamo "Realtà" altro non è altro che la traduzione in pratica dell'"Immaginario" di un popolo, ossia di tutto l'insieme di cultura, religione, credenze, miti, tradizioni, desideri e aspirazioni singole e collettive, che possiamo attribuire ad una determinata civiltà. Ancora, possiamo dire che l'Immaginario Collettivo è il punto d'incontro e di fusione dei vari immaginari di ogni singola persona di quella popolazione, immaginari che possono essere anche molto diversi tra loro, ma che si raccordano e si trovano su quello che "viene preso per buono da tutti", sul "Denominatore Comune" che, per forza di cose, tenderà automaticamente a spianare verso il basso la cosiddetta "Opinione Pubblica": all'interno di un'opinione di massa il pensiero di un ciabattino sarà assolutamente uguale a quello di un astrofisico.

   Immaginario che è fatto per la gran parte proprio di sogno, di aspirazioni, di idee immateriche non necessariamente ritenute "vere" nella realtà. eppure comunemente accettate e "realmente agenti": nessuno crede per esempio alla reale esistenza di Babbo Natale, eppure a tutti piace crederci, e per alcuni giorni all'anno tale idea governa in buona parte il nostro comportamento, i nostri pensieri, le nostre idee, le nostre azioni.

   Dunque Marzullo ha più ragione di quel che sembri, in quanto la vita, se non proprio un sogno, è il tentativo che ognuno compie di tradurre in pratica il proprio personalissimo "Immaginario"!

   E come ogni persona cercherà di realizzare il suo immaginario personale, una civiltà metterà in pratica il proprio Immaginario Collettivo, che può differire da cultura a cultura: gli Indiani d'America, per esempio, vivevano secondo un Immaginario Collettivo fortemente legato alla tradizione e ad un'alta "personificazione" dell'individuo e stima del gruppo nelle sue capacità; gli inglesi ivi immigrati vivevano secondo un Immaginario Collettivo che privilegiava un'idea di forza e di conquista, dove la persona acquisiva valore non tanto per le proprie intrinseche qualità ma per quanto riusciva ad imporre la sua volontà, e dove il gruppo favoriva quindi la "depersonificazione" a favore dell'idea dominante del "sogno americano".

   Ma torniamo al nostro Babbo Natale: perché è bello crederci, anche se la nostra mente logica sa perfettamente che si tratta solo di una figura immaginaria?
   Perché è un "Archetipo". ossia un'icona che riassume, convoglia e veicola non solo dei concetti astratti e universali, ma anche (e proprio questa è la cosa più importante) tutta la forza emozionalmente positiva che si lega ad essi (e NESSUNA azione spontanea è possibile senza una sottostante spinta emotiva!).

   Quali sono infatti le immagini che per libera associazione vi vengono in mente se pronuncio la parola "Babbo Natale"?
   Probabilmente il Nonno, burbero ma buono; lo zio, o una figura comunque paterna molto positiva; l'autorità buona, un dio minore (ma proprio per questo più "vicino e umano"); l'idea stessa di Bonarietà e Tolleranza... insomma il "padre ideale", appunto: buono, industrioso e geniale, tollerante, generoso, affettuoso e poi la festa, lo stare insieme, il concetto di regalo e di dono da condividere reciprocamente, la positività del donare, lo stare in famiglia, il calore famigliare, il calore della casa e di un camino... tutto questo vi verrà in mente, in forma condensata, in una sorta di "pacchetto emozionale positivo" che andrà ad influenzare il vostro sentire, pensare ed agire. Immagini ed emozioni che si condenseranno in una semplice icona, quale appunto è quella di Babbo Natale.

   A questi "Archetipi Assoluti" si associano gli "Archetipi Culturali" specifici di ogni cultura: così se originariamente Babbo Natale (o per meglio dire San Nicola) era il vescovo che sottomise il Demonio a rappresentare il rito di vittoria del Bene sul Male, nella nostra attuale cultura è il dispensatore di beni, di regali, di oggetti. Trasformazione commerciale comunque già molto emblematica della "sostituzione" avvenuta a livello di Archetipo e di Immaginario (e tendente a riutilizzare in senso utilitaristico la "carica emotiva" della lotta del Bene sul Male).

   Ma cosa succede se si va a mettere direttamente tra le mani di Babbo Natale la bottiglietta di una bibita?

   Un sacco di cose ma analizziamole singolarmente, vedendo sia cosa succede all'icona (idea figurativa) della bibita, e all'icona di Babbo Natale e chi e cosa ci guadagna e ci perde da tale operazione.

COSA SUCCEDE ALLA BOTTIGLIETTA?


   Vediamo subito che chi ha tutto da guadagnare da tale operazione sarà proprio la bottiglia, sulla quale verranno riversate tutte le caratteristiche sopra citate di Bontà (se Babbo Natale è buono, vuoi che beva qualcosa di non altrettanto "caratterialmente buono"?).
   Insomma la bottiglietta di Coca Cola diventa un PARASSITA EMOZIONALE che "succhierà" tutta l'energia positiva generata dall'icona di Babbo Natale e dalle emozioni positive ad essa legate.

COSA SUCCEDE A BABBO NATALE?

   E se tutto finisse qui, non sarebbe poi un gran male.
   Ma cosa succede contestualmente all'archetipo di Babbo Natale?
   Che viene "eroso e consumato dal suo Parassita", come per ogni organismo parassitato (non vi fischiano le orecchie con un'analoga strategia usata nel campo del pensiero culturale dei popoli?).

   Come in una sorta di vasi comunicanti, infatti, Babbo Natale a sua volta prendere sempre di più le sembianze del prodotto che pubblicizza (e questo lo vediamo, anche formalmente, nell'evoluzione nel tempo degli spot stessi: dapprima spariscono le renne, poi la stessa figura ormai inutile di Babbo Natale: la sua forza iconica è già stata completamente parassitata dal prodotto, e ormai non c'è più bisogno di lui...).
   Quel che è più grave è che il nuovo archetipo ora esistente manterrà invariata tutta la sua forza emozionale, forza non più diretta verso un'idea iperurania e superiore di Bene, Generosità, Affetto, Calore Familiare, Dono etc. ma verso il semplice consumo di un'insignificante prodotto commerciale.

   Con un meccanismo che possiamo tranquillamente chiamare come: "Furto degli Archetipi", essi vengono man mano svuotati del loro significato primigenio, e tutta l'emozionalità ad essi legata verrà riversata su un diverso contenuto, prodotto o idea che sia.
   E come prima i termini "Bontà" e "Babbo Natale" condensavano lo stesso significato, così ora non solo l'equazione si estende in quanto "Bontà sarà l'equivalente di Babbo Natale che sarà l'equivalente di Coca Cola", ma (cosa ben più grave) varrà anche l'equazione inversa, per cui "Coca Cola" sarà equivalente a Babbo Natale e a tutto quello che, razionalmente ed emotivamente, esso rappresenta nel profondo del nostro Immaginario... per cui arriveremo ad associare gli assoluti visti sopra ad una banalissima bibita zuccherata.

   Questo è esattamente il meccanismo, fondamentale in ogni sostituzione dell'"Essenza" di una persona come di un'idea, che prende il nome di DEPERSONIFICAZIONE o ALIENAZIONE: Babbo Natale subisce una "depersonificazione o alienazione" appunto, che ne svuota l'essenza originale per rimpiazzarla con altro, ad uso e consumo di chi favorisce il processo medesimo. E' il processo tipicamente pubblicitario per cui "le persone diventano oggetti e gli oggetti persone": quella ora non è più una semplice bibita zuccherata, ma l'idea stessa di bibita, una quasi divinità assurta nell'alto dei cieli, e la cui peculiarità è la "bontà caratteriale".

COSA SUCCEDE A NOI?

   Noi semplicemente non riusciamo più a pensare a mente fredda, a ricordarci che quella è una semplice bottiglietta contenente un intruglio scuro e zuccherato, e nemmeno tanto salutare: tutto questo viene oscurato nella nostra percezione immaginaria dalla forza delle emozioni positive che da sempre vengono accomunate e traslate sul prodotto stesso.
   Possiamo così dire di essere vittime di un riflesso pavloviano inverso, squisitamente giocato sul piano emozionale: non sarà più la semplice sete a farci cercare un prodotto dissetante qualunque, ma sarà quella specifica presentazione pubblicitaria, quello specifico marchio a generare in noi il desiderio di quel "pacchetto emozionale"; desiderio che poi, in un assurdo circolo vizioso, andrà a riversarsi nuovamente e ancora proprio su quello specifico prodotto e non su un altro, perché lo riterremo "uno di famiglia", qualcosa di già conosciuto, di buono, sicuro e affidabile; anzi, la "Bontà" per antonomasia, un qualcosa che ormai appartiene alla sfera celeste, al mondo delle idee e degli archetipi... il nuovo archetipo di moderna "bontà", chi si accontenterà quindi di un misero, sconosciuto, terreno prodotto concorrente?

VENDERE UN PENSIERO

   Come si ottiene quindi una trasformazione profonda della mente e dei comportamenti delle persone comuni?

   Con una martellante propaganda, condotta nello stesso modo visto sopra, ma stavolta non tramite un semplice spot commerciale, ma con una continua SOSTITUZIONE EMOTIVA di valori, idee, archetipi applicata su vasta scala, che coinvolga gli atteggiamenti mentali e le opinioni più radicate della gente verso questa o quell'idea, con l'intenzione prima di demolire quanto l'opinione generale ritiene "giusto e desiderabile", per poi sostituirlo con quanto mi farà comodo.

   Insomma, è la stessa operazione vista a proposito di un prodotto, ma mediaticamente  condotto ora su "icone comportamentali", su atteggiamenti mentali e orientamenti di pensiero, perpetrata su vasta scala ed in modo subdolo, in modo da essere quasi impercettibile da chi la subisce. E qui si sfrutta quasi sempre il bisogno di "conformarsi" dell'individuo, la sua innata tendenza a seguire la maggioranza, a sentirsi parte di un gruppo, a vedere condiviso il suo pensiero, ad identificarsi totalmente in qualcosa, che sia la squadra di calcio, il gruppo di bocce, Dio come il Bar Sport, o la Patria come l'aperitivo con gli amici... "toglietemi tutto ma non il mio Breil", appunto.

   Si farà quindi leva sul bisogno di appartenenza e sulla sostanziale "angoscia di separazione", sul bisogno di avere uno schema di orientamento condiviso, sul bisogno di porsi in efficace relazione con gli altri, insomma proprio su quelle 5 "esigenze inalienabili" postulate da Fromm per uno sviluppo umano e sociale armonico, già accennate nel capitolo 2, ma esattamente come succede con Babbo Natale, si farà leva su queste emozioni e bisogni solo per distoglierli dalla loro "Idea generante", dal loro "archetipo" e riconvogliarli verso altro, probabilmente verso fini commercialmente o socialmente sfruttabili, fino a farvi accettare assurdità simili sul piano sociale come l'assurdità della Santa Coca di Babbo Natale.

   Un classico esempio dimostrativo di tutto ciò è stato il modo in cui Edward Bernays raddoppiò le vendite di tabacco inducendo le donne a fumare: si cavalcò il desiderio di emancipazione femminile (ossia il bisogno fondamentale di "porsi in efficace relazione con gli altri" in una società che effettivamente allora emarginava la donna) stornandolo sul semplice consumo di sigarette.

   L'idea da vendere (indotta tramite una manifestazione organizzata  in cui uno stuolo di donne "emancipate" fumava sfrontatamente in pubblico), era che "chi si riteneva emancipata e indipendente non poteva non fumare", come è facile fregare gli esseri umani!
   (Ed è un po' quello che è successo con queste "Rivoluzioni Colorate", dove si sfruttò "commercialmente" una legittima aspirazione deviandola verso l'acquisto di un prodotto preconfezionato).
   Il denominatore comune di ogni operazione di propaganda quindi, come abbiamo visto, è di far leva proprio sulla nostra parte migliore, sulle nostre più alte aspirazioni, sulle potenzialità più tipicamente umane, sugli intenti più nobili, ma solo per ricondurli ad obiettivi molto più bassi, prosaici e interessati, quando non addirittura a realizzarsi verso il loro esatto contrario.
   (Come diretto corollario avremo che un'operazione di propaganda avrà tanto più successo quanto meno saranno socialmente soddisfatte le necessità su cui si andrà a far leva).

   E così oggi ci troviamo la Guerra Democratica, l'Economia del Debito, la Libera Schiavitù... tutti ossimori, tutti strampalati prodotti sociali venduti a soddisfazione dei nostri inalienabili bisogni astutamente direzionati verso altra direzione dal loro naturale soddisfacimento, senza che quasi riusciamo ad accorgersene.

   QUASI, appunto... l'insistenza, la ripetizione, la riproposizione de medesimi contenuti serva sempre a metterci in guardia, perché è una delle dinamiche che più indicano che ci troviamo di fronte a propaganda. Inoltre, come abbiamo già detto, capire queste dinamiche (che sono le stesse di uno spot o di una pubblicità) ce ne renderà automaticamente immuni, portandoci a fiutare qualsiasi forma di propaganda a chilometri di distanza.

   Pubblicità e Propaganda sono due facce della stessa medaglia: la vendita di un'idea. Ma se la prima agisce in modo quasi innocuo, in quanto limitata a prodotti di poco conto, la seconda è potenzialmente molto più pericolosa proprio per l'enormità e vastità del suo obiettivo e campo d'azione, che coinvolge ampi settori sociali, orienta il pensiero di ampie masse verso comportamenti fortemente rilevanti per la loro vita, sostituendosi di fatto alla libera scelta e al libero arbitrio.
   La Propaganda è, proprio per questo, esattamente come un'arma, come una bomba: in una società "civile" non avrebbe motivo di esistere.

   Ma una volta capita ne saremo liberi, e niente e nessuno potrà condizionarci a nostra insaputa: saremo pienamente padroni del nostro libero arbitrio e di capire, accettare o rifiutare in modo razionale e cosciente quanto ci viene proposto con l'inganno emozionale.
   Di più: potremmo usarla come boomerang per reindirizzare le cose verso direzioni più sinceramente umane.

mercoledì 14 ottobre 2015

Cosa fa uno "Spin Doctor"?

di Mond-Art


   Immaginiamo un dialogo tra un grafico e uno spin doctor, dialogo che potrebbe rendere bene l'idea di come agisce la propaganda al momento di ideare, per esempio, un manifesto elettorale; il dialogo al tempo stesso ci descrive molto bene la figura e le mansioni di uno spin doctor.

   Il dialogo riporta un esempio banale, ma dovrebbe rendere più chiari alcuni concetti riguardanti la Propaganda e farci riflettere su quelle che crediamo essere "le nostre ferree convinzioni":

   Un Capo ufficio si rivolge al suo grafico:

   Ciao Roberto, ti presento X è un esperto di comunicazione e sarà il nostro Spin Doctor per questa campagna; quindi collaborerai con lui e sarà il tuo punto di riferimento per ogni cosa legata a questo servizio.

   Lo Spin Doctor si presenta e dopo che il capo ufficio è uscito si accomoda accanto alla postazione del grafico:

SPIN DOCTOR
Vabbé Roberto, diamoci del tu OK? Stamattina cosa abbiamo?

ROBERTO
Il manifesto di Obama

SPIN DOCTOR
OK! Vediamo di capirci, dobbiamo lavorare a questa cosa assieme, non si tratta di un rapporto... tipo: io dico tu fai; è importante che tu capisca quello che stiamo realizzando...

ROBERTO
Nessun problema, cercherò di chiederti tutto quello che non mi è chiaro... Ecco, qui ho tutti i materiali che ci servono, scusa un momento, mi spieghi esattamente cos'è uno Spin Doctor?

SPIN DOCTOR
Beh! In realtà è un termine infelice... letteralmente significa "Dottore del raggiro", o "Manipolatore di opinioni", diciamo che sono un "Costruttore di idee" che suona decisamente meglio.

ROBERTO
Ah! Ma è un vero e proprio mestiere dunque?

SPIN DOCTOR
Beh, si! La guardi mai la pubblicità?

ROBERTO
Si, ovvio, chi non la vede, ho fatto una domanda scema...

SPIN DOCTOR
Niente affatto, lo sai quanto tempo passa un occidentale medio davanti alla pubblicità?

ROBERTO
Non saprei... un paio d'ore alla settimana?

SPIN DOCTOR
No, un'ora ogni quattro.

ROBERTO
Ah!

SPIN DOCTOR
Quindi prova a chiederti chi è il regista di maggior successo, il più seguito...

ROBERTO
Tu?

SPIN DOCTOR
Esatto. Gli Spin Doctor sono i registi più acclamati; ogni giorno vedi almeno un'ora di film realizzato da uno come me... eppure non sapevi nemmeno cosa fosse uno Spin Doctor...

ROBERTO
Un pubblicitario insomma...

SPIN DOCTOR
No, no... un pubblicitario vende un prodotto; ma quei personaggi in pratica non esistono più. Io ho il compito di costruire l'immagine che tu hai di te stesso...

ROBERTO
Come sarebbe a dire, scusa?

SPIN DOCTOR
Sai chi è Bernays?

ROBERTO
No...

SPIN DOCTOR
Vabbé, non fa niente, ti manca ancora molto?

ROBERTO
No, un secondo ancora... ho quasi fatto.

SPIN DOCTOR
OK! Comunque Bernays ha detto: coloro che hanno in mano questo meccanismo, costituiscono il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. Sono loro che manovrano i fili.

ROBERTO
Sembra uno paranoico, un maniaco dei complotti?

SPIN DOCTOR
No, semplicemente uno che conosceva bene il suo lavoro. Scriveva queste cose negli anni venti.

ROBERTO
Ecco, sono pronto, ci sono tutti i files.

SPIN DOCTOR
Bene, cominciamo dal nostro soggetto, è un candidato di colore.

ROBERTO
Si...

SPIN DOCTOR
Allora, come si comportano tutti i neri che conosci? Si può avere un caffè...?

ROBERTO
Certo... Carla? Ci porti due caffè? Beh! Si comportano come me, più o meno...

SPIN DOCTOR
Ahahah, vedi? Se mi fermassi a questo non riuscirei mai a convincere nessuno... no Roberto, tu pensi che un candidato nero non vada bene per le elezioni e lo sai perché? I neri ascoltano il Rap, cantano come se avessero una tromba in gola, corrono con le ali ai piedi, hanno un fisico da paura, fanno i camionisti o gli spazzini, sono dei gran pugili e sfondano la faccia ai portoricani perché fanno commenti sulle loro ragazze. Mollano le donne al terzo figlio, perdono i capelli e diventano grassi dopo il matrimonio, si ubriacano di birra e da vecchi sembrano dei saggi ma poco dopo muoiono... ecco, questo è ciò che sai della gente di colore, ed è proprio per questo che non vorresti che uno di questi signori diventasse il tuo Presidente.

ROBERTO
No, mi spiace ma devo darti torto, non è affatto questo quello che penso della gente di colore, per niente.

SPIN DOCTOR
Non ho detto che è quello che pensi ma quello che sai, c'è un'importante differenza, sono cose diverse... pensa a un Ebreo, prova a immaginartelo... lo vedi?

ROBERTO
Si...

SPIN DOCTOR
Ha certamente una giacca o un gilet; probabilmente i capelli bianchi con un po' di calvizie ed è sicuramente un bianco, no?

ROBERTO
Si, in effetti...

SPIN DOCTOR
Questo è quello che sai sugli ebrei...

ROBERTO
Lei è per caso un razzista?

SPIN DOCTOR
No, il razzista sei tu Roberto. Potevi pensare ad un ebreo africano ma non lo hai fatto; il tuo ebreo poteva essere una specie di tuareg, ma chissà perché gli hai messo il gilet.

ROBERTO
Mai io...

SPIN DOCTOR
Il nostro scopo oggi, componendo questo manifesto, è di sconfiggere questa immagine. Anche se Obama è nero deve sembrare un bianco di Wall Street, con i capelli lisci e la riga curata... castano magari, perché questo è certamente un ottimo presidente.

ROBERTO
Ma lui è nero con i capelli ricci...

SPIN DOCTOR
Questi sono dettagli, la cosa importante è che lo vedano bianco. Lui non lo può essere, è necessario quindi inserirlo in un contesto ripulito; nel contesto cioè in cui tu vedresti un bianco dominante. E' in questo modo che lo vedranno bianco. Iniziamo dai colori; gli Americani amano principalmente due cose: la bandiera e i soldi. Ma il dollaro lo ami privatamente mentre la bandiera è un amore da esternare pubblicamente. Dobbiamo quindi evitare che pensino ai dollari altrimenti si spaventano e mettono una mano al portafoglio, perché pensano che un nero gli vuole fregare i soldi. Evitiamo dunque di utilizzare il verde come colore, OK? Usiamo i colori della bandiera e sottolineiamo che non esistono altri colori. Fai una palette blu, bianca e rossa e prendi i colori dalla bandiera.

ROBERTO
OK, ci sono...

SPIN DOCTOR
Perfetto, ora vediamo i simboli; dobbiamo rimanere sulla bandiera. Il nostro motto è: Si, noi possiamo, quindi speranza... ma la speranza richiama futuro e il futuro richiama incertezza... dobbiamo richiamare futuro e certezza e in questo possiamo farci aiutare dai socialisti europei; te lo ricordi il simbolo dei socialisti europei?

ROBERTO
No, in questo momento... non saprei proprio dire...

SPIN DOCTOR
Il sole, il sole che sorge. E' una certezza il sole; il sole sorge sempre, porta speranza e luce. Inseriamo un bel sole bianco nel simbolo, una sfera luminosa bianca... perfetto! Sotto ci mettiamo un campo arato. Il sole crea ricchezza, la terra è la ricchezza del paese e come solchi ci mettiamo le righe della bandiera... il cielo celeste... no, no Roberto, mettilo al centro; il centro da stabilità, anche se graficamente non è il massimo, il nostro compito non è di creare curiosità ma di trasmettere certezze... OK, passiamo alla fotografia.

   Roberto propone una foto del candidato in abito da sera.

ROBERTO
Usiamo questa?

SPIN DOCTOR
Che ti avevo detto di quello che sai sui neri?

ROBERTO
Che ascoltano il Rap?

SPIN DOCTOR
Si, ma anche che mollano la moglie.

ROBERTO
Si vabbé, ma questi sono luoghi comuni...

SPIN DOCTOR
Noi siamo i creatori dei luoghi comuni... usiamo i luoghi comuni... il cittadino è un prodotto dei luoghi comuni. Hanno intriso la coscienza della gente fino al midollo Roberto; tutta la realtà è soltanto una costruzione sociale e noi siamo gli architetti. Mettiamo un mattoncino sopra un altro mattoncino. Ascolta, ti piacciono i biscotti? Immergerli nel latte al mattino? Non ti ricorda belle immagini di natura? Ma che ne sai tu della colazione? Credi davvero di saper fare una colazione originale? Tutte quelle immagini ti sono state messe li da gente come me; tu non senti nemmeno il bisogno di una colazione diversa da quella che ti hanno insegnato. Se gli Spin Doctor avessero avuto direttive diverse, tu la mattina mangeresti Krauti con i Wurstel e non ti sarebbero mai passati per la testa i cereali con il latte. Nei supermercati troveresti le confezioni di Wurstel con gli uccellini e le immagini della natura. Nella pubblicità vedresti la mamma che prepara i Krauti ai bambini prima della scuola. Sei davvero convinto di averla scelta tu la colazione? Ecco, perfetta! Usiamo questa fotografia.

   Roberto ha trovato una foto del candidato assieme alla famiglia.

SPIN DOCTOR
Bene, ora smontiamo l'immagine che hai in testa; ingrandisci l'anello, di più, non importa se è innaturale non se ne accorgerà nessuno, l'importante è che lo vedano ma non si concentreranno su quello. L'orologio va bene così, ha appena giocato con i figli, vedi la posizione? Li tutela ed è un buon marito. Metti una collana di perle alla moglie, fa molto middle class. OK, adesso metti la foto in una tonalità di grigi, dobbiamo farlo apparire solido come una foto degli anni settanta; bene, ora puoi mettere la scritta, un carattere solido e mi raccomanda sempre centrale.

ROBERTO
Ma tu credi in qualcosa?

SPIN DOCTOR
Io credo a tutto, e molto intensamente...

lunedì 12 ottobre 2015

Hollywood e propaganda: Salvate il soldato Ryan



Recensione di John Kleeves

   La seguente è la recensione del film Saving Private Ryan (Salvate il soldato Ryan), uscito nel 1998 e diretto da Steven Spielberg per Amblin Entertainment; il protagonista principale è Tom Hanks.
   Occorre una premessa. Io non tratto i film di Hollywood come fanno i critici cinematografici italiani, ed anche la maggioranza di quelli europei. Non li tratto pure come produzioni filmiche, realizzate al solo scopo di fare cassetta. Io so che la filmografia americana - per antonomasia Hollywood - non è una filmografia libera, che segue le sole leggi del mercato. Hollywood deve sottostare a due condizioni: essa deve sì produrre film economicamente validi, che permettano all'industria di auto-mantenersi e di creare pure dei profitti, ma deve anche fare in modo che i suoi film soddisfino le esigenze della Propaganda di Stato americana.

   Questo a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti iniziarono una politica estera micidiale nei confronti del mondo, specie naturalmente del Terzo Mondo, e dovevano nasconderla. A sua volta per nascondere tale politica dovevano anche celare e travisare molte cose riguardanti la realtà americana, come la sua storia e la sua vera situazione sociale e politica. Quindi: propaganda. Hollywood era fondamentale per questo e fu costretta ad allinearsi. Ciò avvenne nell'arco di tempo che va dal 1947 al 1953. Tecnicamente l'asservimento di Hollywood alle esigenze della politica nazionale - ciò che si potrebbe in verità chiamare la sua nazionalizzazione - fu ottenuto per tramite dell'HUAC (House of Committee on Un-American Activities) che con la scusa di trovare dei comunisti nell'ambiente del cinema in realtà miravano solo e soltanto a tale scopo.

   I produttori di Hollywood (per intenderci: Samuel Goldwyn, Louis B. Mayer, David O. Selznik e così via) sottoscrissero la loro resa con la celeberrima Dichiarazione del Waldorf del 3 dicembre 1947.
   Quindi il 1° agosto 1953 fu creata l'USIA (United States Information Agency), un'Agenzia governativa pubblica nell'esistenza ma segreta nell'operatività (esattamente come la CIA, istituita nel 1947), che aveva il compito statuario di curare l'immagine all'estero degli Stati Uniti, e da allora tutti i prodotti di Hollywood dovettero conformarsi alle sue direttive. Il tutto con infinita circospezione: il segreto più gelosamente custodito dall'US Government non è una super bomba, ma il suo controllo su Hollywood.

    Ciononostante eccoci qui a parlarne.
   La situazione non è cambiata e così a tutt'oggi ogni film esce da Hollywood con l'imprimatur dell'USIA, che oltre ad esercitare una censura, spesso carica tali prodotti con valenzze propagandistiche di sua creazione (l'USIA - che non si occupa solo di Hollywood - attualmente può contare su circa 30.000 dipendenti fissi, sparsi in più di 120 paesi; il suo direttore si chiama Joseph Duffey e dipende dal segretario di Stato, ora la signora Madeleine Albright). La situazione è nota nell'ambiente di Hollywood e oltre ai produttori (e cioè le Case di produzione) anche gli attori e i registi sanno come si devono comportare per sperare di poter fare carriera. Quelli che meglio coniugano l'abilità professionale con la disponibilità a fare propaganda diventano rispettivamente i Divi e i Registi di Stato.
   Nei film di Hollywood io dunque cerco le falsificazioni storiche, le mistificazioni culturali, i dettagli fuorvianti; tutto ciò che costituisce propaganda premeditata, consapevole, a favore degli Stati Uniti.

  Ed eccoci a Salvate il soldato Ryan. Con Steven Spielberg e Tom Hanks abbiamo a che fare con due dei massimi esponenti delle categorie testé nominate. Il film non delude le aspettative. E' cioè carico di propaganda politica e culturale.

   La trama è semplice. Il film immagina un episodio della Seconda guerra mondiale, avvenuto nel contorno dello sbarco in Normandia. Il capitano John Miller (Hanks) del II Rangers incursori, conduce la sua Compagnia nella prima ondata di sbarco, subendo forti perdite (gli è capitato il punto più difeso, denominato in codice Omaha Beach, come storicamente). Tre giorni dopo riceve l'incarico di trovare il soldato semplice (private) James Ryan, paracadutato da qualche parte dietro le linee nemiche: il Comando ha scoperto che tre dei fratelli di James sono morti quasi contemporaneamente su altri fronti e vuole che almeno lui possa tornare a casa dalla madre. Conduce la ricerca con una squadra di suoi incursori, che sarà quasi interamente annientata; alla fine muore anche Miller mentre il soldato Ryan si salva.
   Le falsificazioni in grande stile sono le seguenti.
   Si dice esplicitamente che gli Stati Uniti partecipavano alla guerra per la Libertà; partecipavano invece per preservare la Balance of Power in Europa minacciata dalla Germania e per preservare il Mercato dell'Oriente, dove dal 1937 il Giappone aveva iniziato l'invasione della Cina. Partecipavano cioè per salvare i profitti delle loro Multinazionali (evidente a riguardo della Cina, mentre l'Equilibrio di Potenza in Europa serve per bloccare gli europei uno contro l'altro impedendogli di portare una penetrazione commerciale aggressiva nel mondo).

   Si presenta lo sbarco in Normandia, condotto massimamente dagli statunitensi, come l'evento decisivo della guerra. Il turning point della Seconda guerra mondiale, come sanno anche i bambini, fu invece la battaglia di Stalingrado. Gli statunitensi temevano - e a gran ragione - lo scontro di forze di terra con i tedeschi.
   Per ciò avevano evitato di aprire prima il secondo fronte nei Balcani, come era andato chiedendo con insistenza Churchill, e per ciò lo sbarco in Normandia fu quasi ininfluente sull'andamento del conflitto: per compierlo attesero che l'esercito tedesco fosse prima stato sfasciato dai russi; attesero cioè che la guerra fosse già stata vinta da qualcun altro. Poi con tale sbarco andarono a raccogliere almeno qualche briciola (il piatto forte del pranzo lo aveva divorato la Russia, che era giunta all'Elba; Churchill propose subito al grande Alleato di attaccare insieme la Russia, ma questi di nuovo giudicò, di nuovo a gran ragione, di non esserne in grado).

   Si presenta il Capo di Stato Maggiore del periodo, gen. George C. Marshall, come un brav'uomo preoccupato della sorte dei suoi uomini e delle loro madri; è lui infatti che nel film - Bibbia alla mano - prende la decisione di tentare di salvare il soldato Ryan, distogliendo dalle operazioni un fior di capitano d'assalto come Miller. La Storia dice che il generale Marshall forse era un brav'uomo, ma certo non era uno che tenesse in gran conto la vita dei suoi soldati: a suo tempo egli, d'accordo con i vertici militari e politici dell'Amministrazione Roosevelt, e naturalmente con Roosevelt stesso, aveva manovrato affinché il progettato attacco a sorpresa giapponese a Pearl Harbor riuscisse, provocando quei tanti danni materiali e quei tanti morti che erano forse necessari per far scendere il paese in guerra contro Giappone, Germania e Italia. [1]
   E magari, chissà, fra i 2300 soldati americani morti durante l'attacco di Pearl Harbor c'erano stati dei fratelli, magari tre. Qualunque persona di media cultura negli USA è a conoscenza di tale fatto, quindi anche Spielberg. Marshall avrebbe effettivamente potuto prendere una decisione del genere in tali frangenti, ma nel caso lo avrebbe fatto per motivi propagandistici, una eventualità che nel film non è adombrata.
   C'è quindi la propaganda spicciola.

   I soldati americani sono dei coscritti non felici di trovarsi nella fattispecie ma convinti della necessità, della giustezza, di questa guerra. Non c'è pertanto molta disciplina nei ranghi, né timore dei superiori, i cui ordini possono tranquillamente essere discussi e sbeffeggiati. Non era così naturalmente, come fu testimoniato dalle numerosissime fucilazioni sul campo avvenute fra gli altri luoghi in particolare proprio a Omaha Beach: gli episodi sono adombrati nel film e proposti come dovuti a divergenze fra subordinati sul come condurre con più zelo le operazioni (il sergente che minaccia con la pistola un soldato nell'indifferenza del capitano Miller; erano i capitani invece a ordinare le fucilazioni durante le azioni, e il motivo quasi sempre era il rifiuto di avanzare sotto il fuoco nemico).

   Sono proposti degli squarci della vita civile dei soldati americani, in modo da presentarceli nella loro umanità, e quindi familiari, non minacciosi. Ci si dice che lo stesso capitano Miller era un coscritto, non un militare in carriera, e che faceva l'insegnante di letteratura, con una moglie che potava i rosai del giardino usando i suoi guanti troppo grandi. Figuriamoci se un tale elemento poteva essere arruolato fra gli assaltatori, che erano invece scelti fra i semi delinquenti.
   Il soldato Caparzo muore per la sua ostinazione nel voler salvare una bambina francese. L'episodio vuole richiamare naturalmente la bambina italiana Angelina trovata sulla spiaggia di Anzio da un soldato americano e protetta, un fatto vero poi ampiamente sfruttato propagandisticamente; per aiutarci il regista ci dice che il cap. Miller aveva partecipato anche allo sbarco di Anzio.
   Inquietante la figura del fuciliere scelto, o cecchino, Jackson: prima di ogni tiro invoca il Dio del Vecchio Testamento, il Dio degli Eserciti che aiuta a sterminare i nemici del popolo eletto. E sembra che tale Dio lo assecondi davvero. E' un concetto blasfemo, propinato con noncuranza. Alla fine però Jackson muore, centrato dalla cannonata di un Tiger: pure per una causa giusta, approvata da Dio, però si è macchiato di molto sangue. Un martire, dopotutto.
   Per il resto abbiamo dei soldati americani tutti dei valorosissimi combattenti, quale più quale meno. Il caporale poliglotta non fa realmente eccezione: è un intellettuale, un pacifista, e non è tagliato per la guerra, ma si riscatta nel finale uccidendo il suo bravo tedesco. Ciò non corrisponde a verità: se i soldati americani fossero stati valorosi un decimo di quanto raccontato dal film gli Stati Uniti non avrebbero avuto bisogno della Guerra Fredda per rimediare alla debacle sul campo (i Russi all'Elba = fine della Balance of Power in Europa).

   I soldati tedeschi invece sono presentati non realmente come esseri umani, ma come automi, marionette che combattono senza ripensamenti, solo perché così è stato ordinato loro. Quando li si esamina da vicino risultano esseri disprezzabili: nel film un prigioniero tedesco prega in tutte le lingue perché gli sia risparmiata la vita ma poi, ottenuto lo scopo, torna con i suoi a combattere con ancora maggiore ferocia, sino ad uccidere di baionetta con deliberata lentezza un soldato americano.
   Non manca un omaggio all'aviazione americana della Seconda guerra mondiale, bisognosa infatti di potenti maquillage dopo il discredito portatole dai bombardamenti di civili: la piccola scaramuccia finale per il ponte è risolta dai P51 che improvvisamente irrompono in scena (come il VII Cavalleggeri dei western) centrando il Tiger tedesco. Oltretutto il P51 non era affatto un "cacciacarri" come definito nei dialoghi; gli americani non disponevano di tale tipo di aereo, che avrebbe dovuto essere del tipo a tuffo (come gli Stuka tedeschi e i IL-2 russi) visti gli ordigni trasportabili al tempo. Il P51 era semplicemente un caccia, particolarmente adatto per eseguire mitragliamenti al suolo in volo radente di bersagli non corazzati; veniva infatti impiegato in coda ai bombardieri strategici per mitragliare le persone che fuggivano all'aperto e non era sicuramente in grado di distruggere un carro armato.

   Alla fine, visti i tanti e talmente triti spunti propagandistici, Salvate il soldato Ryan sembra un film girato a Hollywood nel periodo 1942-1945.
   C'è però una interessante novità rispetto ai film di mera propaganda bellica di quel periodo: i combattimenti sono rappresentati con realismo. Specie nei venti minuti iniziali dedicati allo sbarco a Omaha Beach è mostrato cosa capita davvero in battaglia: i colpiti non cadono a terra morti o feriti giusto esalando un "ah!", ma spesso sono spappolati, le schegge strappano loro gli arti o le viscere, il campo è così intriso di sangue da risultare scivoloso. Molti feriti sfortunatamente non svengono e gridano per i dolori tremendi, anche per ora prima di svenire, o di morire. Ciò ha indotto qualche critico cinematografico a parlare del film di Spielberg come di un lungamente atteso miracolo: dopo centinaia di film americani a favore della guerra, o almeno non antimilitaristi, finalmente un lavoro pacifista, di condanna alla guerra.
   Non è così, il film non è antimilitarista. L'USIA infatti non permette che si facciano film antimilitaristi (gli USA sono sempre in guerra). Ciò risulta chiaramente dal monologo del cap. Miller, quando dice che la morte di ogni suo soldato ha salvato "dieci, cento, forse mille altre vite [americane]". Ciò è una assoluzione, una giustificazione, della guerra guerreggiata, della guerra sul campo: si combatte non per ammazzare - il che non suona bene in nessuna lingua - ma per salvare altri. E' lo stesso concetto che a suo tempo espresse il presidente Truman per giustificare le bombe atomiche sulle città giapponesi. Del resto lo stesso Spielberg, come si vedrà appresso, ha negato che il film fosse contro la guerra. Solo i critici italiani hanno pensato il contrario.
   Spielberg non ha però detto il vero significato che la produzione ha voluto dare al film. Non c'è problema, lo diciamo noi.

   Il messaggio del film - che è sul piano subliminale - è il seguente. Visto i sacrifici che abbiamo fatto noi americani per la Libertà dell'Europa? Non siate quindi ingrati, non buttateci a mare. Inoltre: abbiamo in quel modo acquisito dei diritti sull'Europa Occidentale. Un messaggio del genere è opportuno in questi anni di Perestroika. Lo spauracchio dell'URSS è scomparso e l'Europa Occidentale sta pensando a un cambio di campo che le converrebbe grandemente: sganciarsi dagli USA e ottenere la protezione militare russa necessaria per competere efficacemente - ad armi pari - con gli Stati Uniti nel mondo.
   USA ed Europa Occidentale sono infatti nemici economici naturali, mentre invece la Russia notoriamente non è interessata ai commerci, preferisce ricevere i tributi dei vassalli che commerciano, come Germania e Italia hanno cominciato a versare; a breve seguirà l'UE intera, e il Giappone.

   A questo punto non ci si può esimere da una considerazione. Gli americani sono davvero degli inguaribili commercianti trappoloni, che vendono cara la loro merce scadente e che con niente vogliono ottenere guadagni mirabolanti. Nello sbarco in Normandia ebbero circa 10.000 morti, e poco più nel resto della campagna europea, cioè circa 20.000 in tutto, e con ciò accampano diritti sull'Europa Occidentale. Cosa dovrebbero allora dire i russi? Nella sola battaglia di Stalingrado ebbero circa 100.000 morti, mentre lo scontro con la Germania costò loro globalmente circa 20 milioni di vittime (in grande maggioranza civili). Oppure gli americani calcolano che ogni vita loro vale 1.000 vita degli altri.
   Il realismo di Spielberg è dunque un realismo peloso, strumentale, asservito ad una esigenza politica di propaganda. Ciò è dimostrato da una semplice osservazione: solo i soldati americani nel film sono martoriati, dilaniati, sventrati. I soldati tedeschi no: muoiono subito, cascando come birilli, con tanti "ah", "oh", "uh". Proprio come gli indiani dei western. Possono anche essere inceneriti coi lanciafiamme, gridano solo un po' di più.

   Potremmo concedere a Spielberg - e a Hollywood tutta se è per questo - di aver realizzato un film di guerra realistico e onesto solo quando tale film mostrerà gli orrori subiti da entrambe le parti. In particolare, trattandosi di un film sulla Seconda guerra mondiale, quando mostrerà i reali effetti sulle persone dei bombardamenti a tappeto di città, e dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki; quando mostrerà i bambini, le donne e gli uomini dilaniati, sventrati e schiacciati dalle schegge e dalle macerie, e arsi vivi dal fosforo bianco, Napalm e dal vento nucleare. Ma ciò non sarà mai.

   Il realismo nel dipingere le durezze dei soldati americani in battaglia serve anche per lucrare dei vantaggi collaterali. E' per tali durezze - suggerisce il film - che hai soldati americani può capitare di uccidere prigionieri, o di torturarli, come oramai si sa che fecero nella Seconda guerra mondiale, e poi nella guerra di Corea, del Vietnam, di Panama, del Golfo dove una colonna pare di 30.000 soldati iracheni disarmati e in fuga, e che facevano gesti di resa, fu incenerita col Napalm lanciato dai cacciabombardieri. O erano dei P51 "cacciacarri", signor Steven Spielberg?
   Analogamente è per tali durezze che può aversi un alto numero di propri soldati uccisi da commilitoni, in realtà in maggior parte fatti fucilare sul posto dai comandanti. Negli ultimi anni la causa di tali decessi è segnalata alla stampa come dovuta a "fuoco amico". Non è una bugia, in effetti.

   A mio parere il film è stato commissionato direttamente dall'USIA, o suggerito; non credo che quest'ultima si sia limitata, come in genere fa, ad approfittare di una trama presentata da un produttore per inserirvi temi propagandistici ad hoc. Possiamo ascoltare alcune affermazioni di Spielberg e Hanks contenute in una intervista raccolta dal giornalista Giovanni Bogani del Resto del Carlino. [2]
   Spielberg ha detto qualcosa sul terrorismo:
   "Va fermato in tutti i modi. Anche con i bombardamenti, si. Ma ci vogliono prove concrete di responsabilità, non ipotesi. Non si può bombardare un simbolo. Insomma, ci vogliono degli ottimi servizi segreti".
   Il riferimento naturalmente è ai bombardamenti con missili effettuati dagli USA nell'agosto del 1998 in Sudan e Afghanistan, che Spielberg viene a presentare come benefici. Invece i missili gettati nell'Afghanistan degli amici Talebani erano dei diversivi per confondere le idee, ed hanno danneggiato infatti una loro fazione rivale; mentre con quelli gettati in Sudan si è colta la scusa del terrorismo per danneggiare un paese che assolutamente non lo appoggia, ma che dispiace agli americani né può reagire: hanno distrutto una fabbrica di medicinali (una fabbrica di medicinali in Sudan, come dire un pastificio nel Bangladesh, e l'ONU non ha fiatato).
   Spielberg appoggia insomma la nuova scusa escogitata dal Dipartimento di Stato per sovvertire il Terzo Mondo al posto di quella del comunismo. Dice anche che occorre aumentare l'efficienza della CIA: così ancora più CIA nel Terzo Mondo, non per sovvertire, per carità: per prevenire il terrorismo.

  Dice poi il Regista:

   "La guerra può essere, in alcuni casi, inevitabile. Per esempio, le truppe americane, sbarcando in Normandia, hanno salvato la cultura occidentale".
   Chiara la posizione a favore della guerra di Spielberg: per la loro politica neocoloniale gli Stati Uniti devono fare guerre in continuazione, e quindi non bisogna fare film antimilitaristi. Per quanto riguarda il salvataggio della cultura Occidentale, questo concetto rientra nell'ottica del messaggio subliminale del film che si è vista.
   Hanks ha detto:
   "Se ci fosse una guerra giusta, contro un regime totalitario, che mette in pericolo la sicurezza del mondo, non esiterei un minuto: ci andrei.".
   Giustifica tutte le guerre e guerricciole statunitensi nel mondo, che avvengono al ritmo di una all'anno fra le grandi e le piccole: sono infatti sempre - a detta degli Stati Uniti d'America - guerre "giuste", contro "regimi totalitari" che mettono in pericolo la "sicurezza del mondo". In realtà l'unico regime totalitario che mette in pericolo la sicurezza del mondo sono gli Stati Uniti: secondo Hanks bisognerebbe fargli guerra, e lui parteciperebbe.
   Quindi Hanks ammette tranquillamente l'appoggio del Pentagono alla realizzazione del film:
   "Abbiamo fatto alcuni giorni di addestramento con un ufficiale dei Marines, Dale Dye...".
   Gli siamo grati ma non occorreva la sua ammissione. La partecipazione del Pentagono risulta dai mezzi militari dell'epoca usati per le riprese, che giacevano nei magazzini del medesimo: sono visibili a tutti. Dovrebbe essere superfluo osservare che il pentagono presta i suoi mezzi solo con l'assenso dell'USIA.
   Queste non sono interviste da normali resti e attori. Queste sono interviste da funzionari governativi. In effetti Tom Hanks, in una sua intervista pubblicata sul quotidiano New Yorker del 28 novembre 1998, ha manifestato l'intenzione di dedicarsi alla carriera politica. Ciò non deve meravigliare, così come a suo tempo non avrebbero dovuto meravigliare gli esempi di Shirley Temple, di Ronald Reagan, o anche di Clint Eastwood[3]: negli Stati Uniti essere una star del cinema già significa essere in politica. Significa infatti essere un Divo di Stato, un uomo che coscientemente coniuga l'attività professionale con le esigenze di Stato. Discorsi analoghi valgono naturalmente per Steven Spielberg.
   Per il resto, dal punto di vista filmico, a me pare che Salvate il soldato Ryan sia un'opera abbastanza riuscita. Valutate però voi se è il caso di spendere diecimila lire per vedere un film di propaganda di uno Stato estero. Di uno Stato estero i cui interessi sono oltretutto in contrasto con quelli del vostro paese, l'Italia.

[1] I giapponesi attaccarono a Pearl Harbor alle ore 13 della domenica 7 dicembre 1941. I servizi americani intercettarono i messaggi e per le ore 8 dello stesso giorno avevano concluso con certezza che 5 ore dopo ci sarebbe stato un attacco aereo massiccio a Pearl Harbor. Avvertirono immediatamente sia i vertici militari che la Casa Bianca, ma l'informativa per la base fu autorizzata solo alle ore... 13. Ad autorizzarla per quell'ora fu proprio il gen. Marshall. Vedi The Puzzle Palace di James Bamford; Penguin Books, Harmondsworth-Middlesex, England, 1988; pagg. 58-61. Dopo l'attacco Roosevelt disse che quel giorno "sarebbe vissuto per sempre nell'infamia". Certamente.
[2] "Resto del Carlino" del 4 settembre 1998.
[3] Eastwood è sindaco di Carmel e si occupa di politica nello Stato della California. Reagan come si sa fu presidente per due termini. Shirley Temple, la ex bambina prodigio di Hollywood, dopo il 1949 si dedicò alla propaganda di Stato. Nel 1968 fu ambasciatrice degli USA all'ONU; dal 1974 al 1976 fu ambasciatrice in Ghana; nel 1976 fu Capo del Protocollo alla Casa Bianca. La Temple chiese al presidente Reagan la carica di Direttrice dell'USIA, che però lui le rifiutò.